Regia di Saverio Smeriglio, Andrea Goroni vedi scheda film
Ci sono certi film che, dietro una povertà di mezzi, nascondono una passione e, a dirla tutta, anche un punto di vista, uno slancio positivo, umano, sulla vita. E' il caso de La Polinesia è sotto casa, davanti a cui non solo l'addetto ai lavori ma anche lo spettatore comune si sforza di non sorridere. Storia semplicissima, fin troppo; cast, fotografia, scene ridotte ai minimi termini per una carenza di budget evidentissima. Musiche autoprodotte dallo stesso regista, anche sceneggiatore nonché autore del romanzo omonimo, spunto iniziale per un piccolo film. Un film autoprodotto, di più: un film fatto in casa con tutto quel (poco) che ne consegue. Facile massacrare La Polinesia è sotto casa. Troppo facile. Del resto, il risultato è impietoso e sotto agli occhi di tutti: la fotografia, poverissima, ci rimanda alle immagini sgranate e distorte di una VHS di anni luce fa; la recitazione, nonostante l'impegno profuso dagli interpreti, è stonata e ben al di sotto del livello di guardia; le sequenze tra le onde, le più attese, fulcro del film, sono deludenti: per nulla spettacolari, con un mare, ahinoi, che ha gli stessi colori opachi e poco suggestivi della Riviera romagnola d'inverno. E la storia, tutta incentrata sul cambiamento di vita del giovane protagonista scontento della routine famigliare e lavorativa, è troppo lineare e prevedibile anche solo per incuriosire. Insomma: un disastro, uno stracult che farà felici gli appassionati di cinema trash. E anche un film che farebbe la gioia di qualsiasi critico in cerca di stroncature facili (a proposito, quello della stroncatura è uno sport sicuramente spettacolare da un punto di vista giornalistico ma che rischia di inaridire il cuore, con conseguenze nefaste sul cinema stesso, che è innanzitutto passione e amore per l'esperienza umana, che spesso è imperfetta o incompiuta). Il fatto è che La Polinesia è un brutto film, visivamente meno che mediocre e cinematograficamente inadeguato, ma tradisce un'ispirazione, questa sì, grande e sincera. Il desiderio di raccontare, attraverso la forma di un film sgangherato e sgrammaticato, una passione che con evidenza ha scosso la vita del protagonista, alter ego del regista. Una storia semplice che dice di una vita cambiata dall'incontro con degli amici che si mettono insieme per coronare un sogno che ha a che fare con la felicità e non semplicemente con lo star bene con se stessi. Il tutto raccontato senza volgarità. E' poco, pochissimo, ma sano. E pace che anziché la California ci sia il Conero e lo spettacolo di film come Un mercoledì da leoni e Point Break sia lontanissimo, inarrivabile.
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