Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Guardando le ultime cose di Avati da qualche anno in qua( da quando la sua barba si è fatta più bianca e ha fatto riparare la casa ai furbetti del mattoncino,unico caso nella lista di Anemone che ha potuto presentare fattura,forse perchè è l'unico che ha pagato) ho sempre più l'impressione di non essere di fronte a un film ma di leggere un suo diario, di vedere un suo album di fotografie, di origliare insomma, di farmi un pacchettino di cavoletti di Bruxelles che non dovrei farmi.
Una sensazione estremamente spiacevole.
E mentre vedevo questo suo ultimo film mi chiedevo: e mò chi c'ha l'Alzheimer a casa sua?
Perchè credevo che questo film parlasse di Alzheimer come scritto da illustri recensori.E invece no.
Parla sempre dei tempi andati, di quella stagione che non ritornerà mai,di quanto era bella la fanciullezza che si stava meglio quando si stava peggio,che non esistevano le mezze stagioni, che non piove perchè il governo ladro s'è fregato pure l'acqua e che i negri c'hanno il ritmo nel sangue.
Avati parla sempre di se stesso e della sua famiglia, di sua zia Serena Grandi(la facevo più giovane) che un tempo tutti i camionisti avevano la sua foto nel camion che si portavano appresso come un santino, del cane che si chiamava Perchè( e i suoi amici a chiedergli perchè gli ha messo nome perchè e lui a rispondere perchè no e quelli ma non ci hai detto il perchè e così via per cinque minuti ...) e dei ciclisti appiccicati sui tappi delle bottiglie con cui si faceva a gara nelle piste di sabbia e di come era difficile restare padre quando i figli crescono e le mamme imbiancano.Il problema del protagonista è che i figli non sono cresciuti(nemmeno arrivati) e la mamma purtroppo è imbiancata.
E parla dello stesso bambino che fa il giornalista sportivo e che comincia a dimenticare la partita di calcio che ha appena visto.Che avrebbe pure una sua ragione per certe squadre affondate nella tundra piemontese ma in televisione farsi prendere una specie di coccolone mentre stai alla Domenica Sportiva o a Controcampo non è precisamente elegante. Però ricorda sempre chi ha vinto il Giro d'Italia durante la Seconda Guerra d'Indipendenza.
E questo è strano. Sarà che aveva sbagliato sport?
Il Pupetto nostro Avati è palesemente a disagio nel narrare l'oggi:il suo diventa postmodernismo involontario con Bentivoglio zazzera al vento che balbetta,che gioca con le costruzioni e non capisce neanche come funziona una battaglia navale elettronica e Francesca Neri truccata da Virna Lisi( ma con tante attrici brave italiane di una certa età ma perchè dare una parte del genere a un'attrice ancora nel fiore degli anni?) che cerca disperatamente di essere seria nelle scene madri del film.Tipo una scena in cui Bentivoglio cerca di picchiarla: lei che con uno schiaffo gli potrebbe fare un intervento di otorinolaringoiatria senza nemmeno l'anestesia, si lascia picchiare coprendosi il viso e il parruccamento.Per non far vedere quanto stava ridendo.
Una sconfinata giovinezza non è un film , è un malinteso.Se uno volesse vedersi un film su quella malattia bastarda allora è meglio dirigersi su Away from her ,storia di un amore mandato nell'oblio proprio dall'Alzheimer con una fantastica Julie Christie.
Avati continua da vari anni a fare lo stesso film,presumo.E, citando un filosofo moderno, magari nella sua bolla spaziotemporale continua a pensare che dare la sensazione di poter fare un bel film è molto meglio che farlo veramente.
calligrafico
di maniera
trucco e parrucco da Guinness dei primati
e se questo negli anni '80 era un sex symbol....
cameo
parte da taxista bastardo
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