Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Lino (Bentivoglio) e Francesca (Neri) stanno insieme da un vita. Non hanno figli. Quando lui comincia a perdere colpi con la memoria lei, con una scusa, lo porta da un neurologo per degli accertamenti: è Alzheimer. Il morbo degenera, lui scarica aggressivamente su di lei la frustrazione per un cervello che non è più capace delle prestazioni brillanti di una volta (era un notissimo giornalista sportivo). Lei se ne va. Lui si mette alla ricerca folle e dolorosa dei suoi amici d'infanzia.
Ennesimo capitolo di una parabola cinematografica in picchiata da diverso tempo, Una sconfinata giovinezza è soprattutto l'occasione mancata da Avati per raccontare il morbo di Alzheimer servendosi di un interprete stratosferico. Ma è proprio questo uno dei punti nevralgici del film: al cospetto della prova ciclopica di Bentivlgio gli altri attori, a cominciare da una monocorde Francesca Neri, sembrano tutti dei lillipuziani. A dispetto delle belle intenzioni e delle suggestioni proustiane, il regista bolognese si ostina ad attingere dalla sua factory (Cavina, Capolicchio, Grandi), a farci vedere la bruma dell'Appennino e a dirigere film corali nei quali i personaggi di contorno sono dei bozzetti appiccicati a un flusso narrativo discontinuo. Nettamente inferiore a film sullo stesso tema come Lontano da lei, Le pagine della nostra vita e La finestra di fronte, Una sconfinata giovinezza si arena anche sui meccanismi cinematografici che per un veterano come Avati non dovrebbero rappresentare un problema: dal montaggio abborracciato al livello delle scene d'azione (quella dell'incidente in auto è talmente scadente da ricordare i polioziotteschi anni '70 con Maurizio Merli) fino alle musiche tonitruanti, melense e decadenti di Riz Ortolani.
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