Regia di Giulio Manfredonia vedi scheda film
Antonio Albanese porta sul grande schermo uno dei suoi personaggi più noti, quel Cetto La Qualunque, politico improvvisato, dai modi rozzi e corrotti, che si prodigando in atteggiamenti smaccatamente beceri, al contrario di quel politically correct che gli si richiederebbe: Cetto sembra avere due famiglie (una in Calabria, da dove proviene, e una in Sudamerica), predica l’amore a pagamento, osteggia con atti intimidatori il suo avversario politico, vantandosi pubblicamente di avergli fatto saltare in aria l’auto.
È un riso tutto sommato amaro quello che ci propone Albanese, perché di questo tipo di atteggiamenti, nell’Italia odierna, ce ne sono eccome. La sua non è un’esagerazione, ma una semplice messa in scena filmica di situazioni all’ordine del giorno in un’Italia berlusconiana in cui la prostituzione, la corruzione, le irregolarità sono l’altra faccia della medaglia della vita politica, oltre che atteggiamenti usuali di un certo tipo di italiani.
Albanese come Zalone, soltanto meno velato, più smaccato: si ride come nei film del nuovo fenomeno pugliese, anche se con uno stile più diretto e chiassoso, con un linguaggio volutamente più triviale, affrontando delicati temi sociali in maniera parossistica. Ma prima ancora che di temi e concetti di fondo, Albanese è un comico, che sa fare il suo mestiere, diventando a tratti esilarante, come quando prova a insegnare al figlio Melo quelli che per lui sono i valori più importanti: minne e pilu! Che si guardi agli aspetti più profondi o al puro spirito goliardico della pellicola, il film è consigliabile.
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