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The Social Network

Regia di David Fincher vedi scheda film

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La recensione su The Social Network

di gerkota
7 stelle

Probabilmente nessuno, prima del saccente studente Mark Zuckerberg, ci aveva pensato seriamente: trasformare una delle pratiche umane più antiche e diffuse, il pettegolezzo, in un business. E che business! La prostituzione lo era già da millenni. Quindi, bisognava mettere al passo anche la pratica di sparlare del prossimo. Un sito internet – oggi lo chiamiamo social network, proprio come il titolo del film in oggetto – che scaraventa su internet la faccia e i fatti privati di milioni e milioni di persone, a disposizione del mondo. Si comincia con la facoltà universitaria e poi si conquista il pianeta.

 

 

E il pianeta Zuckerberg l’ha conquistato per davvero, visto che ad oggi (maggio 2020) è saldamente fra i dieci uomini più ricchi della Terra con un patrimonio di circa 55 miliardi di dollari (fonte Money.it). La storia del fondatore di Facebook, a partire dal 2004 all’università di Harvard, è raccontata in questo buon film di David Fincher (Gone Girl - L'amore bugiardo nel 2014 ma da menzionare soprattutto per i pentastellati - mi si passi il sostantivo - Seven e Fight Club del 1995 e 1999), che qui mette da parte la componente cruenta che caratterizza molte delle sue opere. Il regista di Denver (Colorado, Usa) stavolta tiene alta la tensione ripercorrendo l’intricata vicenda che vide la trasformazione del protagonista da universitario con futuro tutto da costruire in imprenditore geniale e senza scrupoli. Una scalata a colpi di creatività e scaltrezza e metaforici calci sui denti, a un ritmo impressionate e con risultati prodigiosi.

 

 

Discreta la prova di un giovane Jesse Eisenberg (Café Society nel 2016) che, agevolato anche da una vaga somiglianza col vero Zuckerberg, dà vita a un personaggio credibile anche se a tratti iperbolico a causa della necessità cinematografica di sintetizzare gli accadimenti essenziali che hanno segnato la grande ascesa. Maggiore empatia si sente verso il suo compagno di stanza ed ex amico Eduardo Saverin – nel film un credibile Andrew Garfield (Silence nel 2016) - co-fondatore brasiliano di FB.

 

 

L’intero film, come detto a proposito della prova di Eisenberg, a momenti esagera o si appesantisce – così come altre volte, probabilmente, svilisce la realtà - e dà l’impressione di uscire dal solco. Ma sia l’esperienza di un cineasta quale Fincher, sia lo script dello sceneggiatore Aaron Sorkin (il discreto Molly's Game nel 2017, sua prima regia cinematografica), tengono in rotta la nave e il viaggio, alla fine, è piuttosto soddisfacente. Consigliato, senza ombra di dubbio. Voto, 7,8.

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