Regia di David Fincher vedi scheda film
Il destino di Mark Zuckerberg sembra segnato dalla prima scena, nell’impietoso giudizio della tizia che lo ha appena piantato: “probabilmente diventerai un vero mago del computer, ma passerai la vita a pensare che non piaci alle ragazze perché sei un nerd; e io posso dirti che non sarà per questo: non piacerai perché sei un grande stronzo”. In effetti il ragazzo ha un talento non comune: la sua invenzione nasce come una goliardata, poi da Harvard si espande ad altre università americane e al resto del mondo. Mi aspettavo che dopo un po’ il film si sgonfiasse, come di solito succede con Fincher; invece fila liscio che è una meraviglia, scattante, coinvolgente: non scade nell’agiografico ma neanche nel denigratorio, mantiene uno sguardo neutro nell’analizzare lo straordinario fenomeno virale chiamato Facebook. Di più: aggiorna Quarto potere all’era di Internet, quando ricchezze favolose possono avere origini impalpabili e un’idea imprevedibilmente azzeccata può cambiare tutto. Anche qui si va avanti e indietro nel tempo, con una serie di flashback che ricostruisce il passato, e anche qui c’è un uomo che dalla vita sembra aver ottenuto tutto: ha accumulato un sacco di soldi collegando le persone tra loro ma paradossalmente ha fatto il vuoto intorno a sé, ha tradito il suo unico amico e alla fine si ritrova solo come un cane. L’ultima scena si incarica di chiudere il cerchio: forse neanche lui se ne rendeva ben conto, ma quell’impegno colossale serviva solo a riconquistare la stima della ragazza della prima scena (alla quale aveva detto “non voglio amici”!). Ma può bastare un clic a ritrovare la Rosebud perduta? La domanda, opportunamente, rimane senza risposta.
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