Regia di David Fincher vedi scheda film
The Social Network: ovvero come un grande film possa, nondimeno, far sentire chi lo guarda piccolo piccolo (anche se, a ben vedere, dipende tutto dal parametro di giudizio impiegato).
Il film, infatti, screma l’élite (intellettuale e non) della società con il filtro della genialità cinica ed spregiudicata ed intanto ammicca allo spettatore medio.
Lo fa sfoggiando il tipico fascino procace dei club-privè pertinenza di ogni college americano che si rispetti; lo fa inoculando sensazioni da sballo ad un ritmo irresistibile ed irrefrenabile (anche grazie ad un montaggio serratissimo e ad una colonna sonora a dir poco strepitosa); lo fa trasformando il mito del self-made man in quello ben più attraente (atteso il pubblico di riferimento) del self-made guy.
Lo spettatore medio rimane, così, stregato da un mondo che fa della “esclusione” una parola d’ordine malignamente fascinosa; un mondo tanto lontano ed a lui inaccessibile, quanto, nondimeno, tremendamente “cool”… ma a far la differenza è un’etica assai ben diversa: a quello stesso spettatore (così come a chiunque altro) il film, infatti, lancia, al contempo, un non proprio subliminale messaggio ulteriore. Un messaggio che - smaltita l’indigestione di piaceri tanto forti quanto, soprattutto, volubili - ci consola profondamente.
Perché la vera domanda è: il successo dei muscoli (il riferimento corre ai fratelli Winklevoss), quello della testa (il riferimento corre a Zuckerberg) e quello del portafogli (ancora Zuckerberg) potranno mai compensare l’insuccesso del…cuore?
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