Regia di David Fincher vedi scheda film
“The Social Network” conferma da un lato come David Fincher sia di fatto uno dei registi più eclettici nel panorama Made in USA. Pochi e non certamente il sottoscritto, avrebbero immaginato un suo percorso così diversificato già ai tempi del suo debutto con “Alien 3”. Qualcuno, pur lavorando a Hollywood, riesce evidentemente a sottrarsi ai voleri delle produzioni, alle pressioni del pubblico ( molti sono coloro che avrebbero voluto da Mr Fincher nel corso di questi anni, un “nuovo” Seven, a mio avviso sempre e comunque di gran lunga il suo miglior film) e a non fossilizzarsi all’interno di un unico genere. Si fatica in effetti a ritrovare in “The Social Network”, film curato nei dettagli e nella messa in scena ma (sin troppo) prosciugato da qualsiasi orpello visivo, la mano del regista: se non sotto il punto di vista cromatico della fotografia, con i toni del marrone della pellicola ad essere ancor a una volta predominanti. E da un altro lato il film rappresenta un nuovo episodio in cui il mercato americano (penso ad alcuni film di Gus Van Sant, Oliver Stone e Paul Grengrass) non senza rischi, si interessa di un episodio storicamente recente ed ancora ampiamente in evoluzione. “The Social Network” non è comunque un biopic e tanto meno un apologo sul giovane, brillante e geniale (ma anche arrivista ed egocentrico) fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, un efficace e anche fisicamente in parte Jesse Eisenberg. (“Non sei uno stronzo Mark, cerchi solo ostinatamente di esserlo”). Il fulcro del film non è per fortuna solo “Facebook”. Il film ha un respiro più ampio, anche moralmente. Parla di Internet, del vuoto esistenziale in cui spesso ci si nasconde. Delle sue amicizie virtuali, in contrapposizione a quelle reali. Della voglia di apparire, del desiderio di piacere, di trovare persino un riscatto, attraverso di esso. E soprattutto delle sue infinite opportunità economiche: dunque del nuovo dilagante ultra competitivo capitalismo odierno, in cui assistiamo a vertiginose scalate al successo non solo di personaggi scafati simil Gekko di “Wall Street” ma di (altrettanto pericolosi, a dispetto delle apparenze) umorali, immaturi e geniali universitari. (Molto ben scritto il personaggio ed eccellente la prova di Justin Timberlake nel ruolo di Sean Parker, l’inventore di Napster.) Il tutto attraverso un impianto da film processuale, con le cause intentate a Mark Zuckerberg che si intrecciano tra di loro grazie ad un perfetto lavoro di montaggio, puntuali flasback e molteplici punti di vista, capaci di dare al film un ritmo inaspettato, soprattutto se si pensa all’indigesto prologo iniziale. Voto: 8
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