Regia di David Fincher vedi scheda film
Si potrebbero dire tante cose su The Social Network, il film che presumibilmente farà incetta di Oscar il prossimo febbraio. Potremmo dilungarci molto sulla genesi di quel meraviglioso e spietato fenomeno culturale che risponde al nome di Facebook: tutto nacque da un algoritmo, e molti momenti del film sono comprensibili tecnicamente soltanto ad informatici – a noi poveri ignoranti però piace farci suggestionare da quel casino di numeri, eppure così logici e lineari, tanto da farci dimenticare che non stiamo capendo praticamente nulla –, e da quell’algoritmo si sono originate tante cose. Il film racconta proprio tutto quello che accadde dopo l’algoritmo – con un’introduzione da urlo in cui capiamo per quale motivo è nato Facebook (la sceneggiatura di Aaron Sorkin prenota la statuetta): il motivo è sempre una donna, e qui non si fa eccezione – dal piccolo nucleo di Harvard agli scontri con due gemelli ambiziosi e americanissimi fino all’incontro decisivo con Sean Parker, il creatore di Napster.
David Fincher mette su una pellicola solidissima, praticamente perfetta nel rapporto tra aspettative e risultato, nella calibrazione dei tempi, nella precisione dei momenti rappresentati, nel non perdersi in chiacchiere: costruisce un classico parlando del moderno per eccellenza (Internet), sfoderando una regia che al contempo è personalissima (tanto per fare un esempio, le scene della gara di canoa e del festino da antologia – ma anche gli intermezzi con gli avvocati meritano) e mai invasiva. Sì, certamente, queste sono cose indubbie, e si potrebbe stare ore a parlarne perché è un film effettivamente ineccepibile. Però a me un altro aspetto ha colpito particolarmente: come il contemporaneo Noi credevamo, The Social Network è un film sul tradimento. Anzi, ancora peggio: è un film su due amici che si tradiscono.
Eduardo Saverin era l’unico amico del nerd Mark Zuckerberg, l’unico che si era imbarcato nel folle quanto semplice progetto di trasportare la vita reale in rete. La loro amicizia è una di quelle incrollabili: si cercano le ragazze assieme, ragionano sul futuro, vivono praticamente le stese emozioni. E poi? E poi succede che si cresce, e il corso degli eventi cambia le cose. Forse il film insiste troppo sul fatto che Mark sia stato plagiato dall’affascinante Parker – lettura saveriniana? – ma anche sulle ambizioni vane e vaghe di Eduardo di far entrare la pubblicità dentro Facebook – lettura zuckerberghiana? – e le sequenze con gli avvocati mettono in evidenza questi aspetti così ambigui. Si dice che Mark non è interessato al ritorno economico di Facebook: ma è proprio per una questione economica che la sua amicizia con Eduardo finisce. Si dirà che la storia è romanzata (i personaggi, tra l’altro, pur avendo ruoli ben identificabili – Mark è il protagonista geniale ed arrogante, Eduardo l’eterno non protagonista, Sean il cattivo seducente –, non sono tagliati con l’accetta e si prestano a più interpretazioni), che forse qualcosa è stato reso più avvincente (anche se il film in realtà è secco ed essenziale), ma SN resta uno dei film più importanti degli ultimi anni sulla morte del mito dell’amicizia. E dato che all’origine c’è sempre una donna, l’ultima scena è un colpo al cuore. Anche in un’epoca in cui l’amicizia la richiedi, su Facebook.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta