Regia di David Fincher vedi scheda film
Mark Zuckerberg è il più giovane miliardario al mondo. Sei anni fa era un geek sociopatico evitato dalla maggior parte degli esseri umani di Harvard. Le sua faccia stampata nelle foto pre-facebook narra di un predestinato ad essere vittima di burle atroci, normotipo non adatto a riprodursi per univoca scelta della controparte femminile tutta, condannato all’invisibilità sociale che negli ipercompetitivi Stati Uniti significa o suicidio o entrare nelle cronache della computisteria criminale come mass murder in preda ad attacco di follia. La sua faccia. Partire dalla faccia di Mark Zuckerberg (Jesse Eisenberg) è fare un favore al Lombroso e alle sue strampalate teorie fisiognomiche. Tra la faccia di Zuckeberg e la home page di Facebook c’è un intero mondo oscuro fatto di milioni di facce, di confronti, di spietate prese in giro, di competitività estrema, di pulsioni pronte ad esplodere. Sono divise da fica, soldi, desiderio di rivalsa, vendetta. Gradi di separazione rosicchiati con rabbia e spregiudicatezza fino alla perfetta simbiosi tra creatura e creatore, riassunta nella triste e bellissima scena finale. Il film di Fincher è notturno come da impronta stilistica naturale, ambientato quasi totalmente in luoghi chiusi, camere, uffici , la luce è quella metallica delle alogene, quella blu degli schermi dei monitor. E’ la fotografia di quel mondo oscuro che divide la faccia del creatore dalla sua creatura, un mondo fatto di stanze e solitudini.
Conquistare il mondo nell’era di Internet è facile e veloce e soprattutto se lo si fa con la complicità del mondo stesso, disposto a mettere in rete ogni singolo mondo privato beandosi nella solitudine della cameretta nella conta degli amici. Condivisione sembra essere la parola d’ordine, condividere tutto con tutti. L’amicizia è una cosa bellissima e Facebook ne ha esasperato i contenuti rendendo meccaniche le modalità di interazione. Quello che una volta costava sguardi e fatica, frequentazione, limare un po’ del proprio sé per collimare col sé altrui diventa un clic. Facebook risolve in campi da compilare la necessità umana di essere inseriti in una collettività omogenea che esalti le componenti peculiari del singolo. Senza i fastidiosi compromessi che la vita sociale richiede. Mark Zuckerberg è un genio strafottente che ha individuato nella sociopatia la leva per sollevare il mondo. Il proprio.
The social network è un film fatto di contrapposizioni. Una persona che non ha amici e crea uno strumento per avere più amicizie possibili. Non ha vita sessuale e crea il progetto alla fin fine per confrontare le ragazze più “appetibili”. Non ha vita sociale e fonda un social network. Vale soprattutto il ribaltamento del luogo comune che vuole i nerd sfigati essere esseri umani migliori dei vigorosi esponenti dell’elite dell’università, come migliaia di camp movie ci hanno sempre spiegato. In questo caso i gemelli Winklevoss, canottieri in odore di olimpiadi, belli atletici e invidiati che si trovano truffati dal nerd Zuckerberg e non reagiscono perché si autodefiniscono “brave persone di Harvard”. Geniale. Vero? Più o meno si, il film è tratto dal libro Miliardari per caso - L'invenzione di Facebook di Ben Mezrich ed è lecito supporre che Fincher e soci si siano concessi qualche licenza drammatica mostrando gli eventi come effetto della personalità dei protagonisti, vera causa di tutto. Lontano dall’essere un pamphlet generazionale è piuttosto il resoconto di una nuova razza di esseri umani in grado per indole, determinazione e esclusive capacità intellettuali, di ridurre in stringhe di codici informatici l’essenza della natura umana e vomitarla sul video. Facebook ha in sé una radice malata, è nato per ripicca e cresciuto nella voglia di rivalsa verso “le brave persone di Harvard”.
Fincher è straordinario nel tenere alta la tensione, grazie anche ad un montaggio alternato su più piani temporali anche se la sensazione non è quella faticosa dei flashback, quanto quella di una narrazione “in contemporanea”. La vicenda non è altro che la visualizzazione delle deposizioni dei protagonisti ripresi durante i due processi che pongono Zuckerberg di fronte alle sue responsabilità nei confronti dei gemelloni Winklevoss (forse) ispiratori del social network e di Eduardo Saverin (sicuramente) co-fondatore di Facebook. Saverin (Andrew Garfield) è l’unico vero amico di Mark eliminato in un batter d’occhio, metafora di quel “clic” che consente su internet di risolvere in maniera indolore tante questioni, con l’avvento in società di un altro ex geek, Sean Parker (Justin Timberlake) fondatore di Napster. L’espressione vuota dello straordinario Jesse Eisenberg nel momento della perdita dell’amico è quanto di più vicino possa ricordare una pagina di internet in fase di caricamento: esiste ma mancano ancora i contenuti. Le emozioni.
Il tutto è sceneggiato in modo sublime da Aaron Sorkin, autore di dialoghi fulminanti, taglienti ed ironici, mai didascalici, frenetici quanto è frenetica e sovrapposta la comunicazione ai tempi di internet. Sceneggiatura tecnica quanto basta per far intendere i vari passi della creazione di Facebook senza necessariamente dover essere un programmatore per capire.
La regia pulitissima di Fincher pesca a piene mani da tutte le esperienze accumulate nei film precedenti per mettere in scena un soggetto quasi infilmabile, avendo avuto cura di eliminare lo stesso Zuckerberg, inizialmente coinvolto nel progetto, dalla produzione della pellicola. Freddo e distaccato Fincher non espone alcun giudizio o tesi di sorta, ogni interpretazione è soggettiva. The social network è la rappresentazione moderna del mondo moderno, fatta di schede che si alternano e compongono storie parallele, sovrapposte, affiancate, ognuna dotata di un senso proprio e al contempo portatrice di un senso comune più grande, globale. Le inquadrature di Fincher sono così, come schede con al centro una faccia, un protagonista o una situazione, sono schede i cui bordi sono i muri, gli oggetti e le suppellettili. Non c’è mai il campo lungo, il rapporto del personaggio con il suo mondo non esiste poiché il mondo dei personaggi è limitato entro uno spazio assimilabile allo schermo del computer. Anzi si, c’è un campo lungo. E’ all’inizio quando Mark ritorna al campus, durante i titoli di testa. Era il suo mondo fino ad allora ed egli è invisibile a tutti. Infatti Facebook al tempo ancora non c’era. Una volta entrato nella sua stanza tutto ha avuto inizio.
The social network è un film bellissimo, potente e profondo, portatore sano di svariati premi. Sicuramente il film migliore dell’anno, stilisticamente e tecnicamente, proprio per il senso filmico che riempie ogni inquadratura, uno dei migliori del decennio. Imperdibile.
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