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The Social Network

Regia di David Fincher vedi scheda film

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La recensione su The Social Network

di Blondie
6 stelle

David Fincher, che non è un genio, ma nemmeno un pivello, opta per due scelte che si rivelano fondamentali: uno sceneggiatore decente (Aaron Sorkin - La guerra di Charlie Wilson) e un giovane attore protagonista dello stesso livello (Jesse Eisenberg - The Squid and The Whale). Il regista di "Seven", con il pretesto di raccontare la storia di Mark Zuckerberg, il fondatore del famigerato Facebook, gira il suo personale "Wall Street" ambientandolo nel Cyberspace del Ventunesimo secolo.Tranquilli, quindi, di pagine Facebook se ne vedono poche in 120  minuti di pellicola. Facebook è infatti solo un prestesto per parlare del nuovo sogno americano: "il segreto non è trovare il lavoro che ti porterà al successo, ma inventarti il lavoro che porterà al successo ", come spiega il direttore dell'Università di Harvard ai due gemelli aspiranti co-autori dell'idea da 25 miliardi di dollari. Il film si apre con il 19enne, Mark Zuckerberg al Bar con la fidanzata che dopo un feroce e tagliente scambio di battute, lo scarica dicendogli più o meno: "Passerai il resto della tua vita a credere che non piaci alle ragazze perchè sei uno sfigato patito di computer. Voglio dirti subito, dal profondo del  mio cuore, che questo non è vero. Non piaci alle ragazze solo perchè sei uno stronzo". Jesse Eisenberg riesce a calarsi nei panni dello stronzo emarginato piuttosto bene, e su questo non si discute. Forse proprio perchè emarginato dalle donne, dai festini e congreghe universitarie riesce con lucidità a cogliere quale sia la droga di cui la marmaglia di suoi coetanei è tanto avida, si chiama "farsi-i-fatti-altrui". E quindi perchè non rendere un servigio all'umanità e fare tutti quanti protagonisti del "piccolo schermo" e mettere la propria privacy a portata di click? Ad aiutarlo nell'ardua impresa il suo unico amico: Eduardo Severin (Andrew Garfield) che nell'impresa, oltre a cuore e anima, ci mette pure il portafoglio. Quando però nel giro di poche settimane TheFacebook-mania si allarga a macchia d'olio, e sconfina oltre le mura dell'Harvard University da dove i due ragazzi hanno salpato l'àncora, c'è almeno un'altra coppia di studenti, sedicenti amici, ad accorgersi che qualcosa di grosso bolle in pentola e voler mettere le mani sulla nuova Eldorado, reclamando diritti d'autore. Sono i gemelli Winklevoss, presuntuosi figli di papà, super campioni sportivi che hanno tutto meno quello che manca a raggiungere il successo: il talento. La pellicola parte indiscutibilmente da una buona idea; il paradosso che  intorno al Social Network più famoso al mondo il cui unico scopo parrebbe quello di unire le masse, diviene in verità la principale causa di rottura di rapporti interpersonali genuini e reali. I primi a farne le spese sono proprio suoi ideatori: Zuckerberg è troppo intento a vendicarsi nel cyberspazio contro quella "società"- fidanzata inclusa -  che lo ha escluso e Severin è troppo preoccupato a tenersi stretto l'amico per la paura di venir rimpiazzato. Il film funziona soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi: bravo Eisenberg che la fa da padrone (riesce a regalare umanità ad un personaggio discutibile, spesso arrogante e cinico, ma capace di rivelare con lo sguardo i propri dubbi e le proprie insicurezze) ma anche Justin Timberlake che nel film re-interpreta se stesso nella paranoide stravagante figura di Steve Parker, il magnate del music download illegale  - ovvero la mente dietro a Napster. Steve è il Guru che fa fare a Mark il vero salto di qualità (è lui, tra le altre cose, a suggerirgli di togliere l'articolo e lasciare un pulito Facebook.com).  Nonostante i personaggi e i dialoghi mai banali, il film però non riesce a decollare. Fincher sembra sempre voler raccontare più di quanto sia in grado di suggerire con la macchina da presa e il ritmo serrato del montaggio (tra un ricorso in tribunale e un flashback di vita vissuta) non lascia tirare quel sospiro necessario ad apprezzare ciò che la storia avrebbe davvero di buono da raccontare. Peccato.

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