Regia di Darren Aronofsky vedi scheda film
Decisamente non ci siamo, Aronofsky non li deve fare i film in cui penetra (a suo modo) nella psiche dei personaggi e la rivolta su misura. Non convincevano le scoppiettanti sequenze da videoclip di "Requiem for a Dream", figuriamoci le suggestioni sensoriali di una Natalie Portman bravissima, ma circondata da un'aurea insulsamente morbosa. Aronofsky non ha la freschezza di un Lynch psicologico, né la capacità di calibrare il thriller psicologico come poteva avercela Hitchcock. Qui siamo di fronte a un impulsivo lavoro sull'atmosfera e sulla resa della malattia mentale, dell'ossessione, e di fronte a un altrettanto impulsivo, se non istintivo, tentativo di dire qualcosa sul doppio, sulla sessualità, anche sui rapporti famigliari o semplicemente intersociali, che non sia già stato detto o rappresentato. E non ci siamo, non è una credibile seduta psicoanalitica il racconto di fantasmi (usciti da un horror di quarta categoria) che spuntano da angoli della cucina, o effettacci gore gratuiti e privi di fondamento. Non ha raccontato un personaggio e le sue devianze, ha raccontato paure primordiali con le capacità registiche dei peggiori fratelli Pang. E a colpire qualunque spettatore, con quel prevedibile finale, non ci vuole tanto.
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