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Il cigno nero

Regia di Darren Aronofsky vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il cigno nero

di FABIO1971
6 stelle

"A dire la verità, quando ti guardo vedo solo il Cigno Bianco. Sì, sei bellissima, piena di paure, fragile: la ballerina ideale. Ma il Cigno Nero? Sono cazzi fare entrambe le parti".
"Io posso fare tutte e due".
"Davvero? In questi quattro anni ti ho vista sempre cercare come un'ossessa la perfezione in ogni singolo passo, ma mai ti ho vista lasciarti andare alle emozioni. Mai! Tutta questa disciplina per cosa?".
"Voglio solo essere perfetta".
"La perfezione non è solo un problema di controllo, è necessario metterci il cuore: sorprendi te stessa e sorprenderai chi ti guarda. Saper andare oltre: pochi ballerini ce l'hanno dentro"
.
[Natalie Portman e Vincent Cassel]


Nina Sayers (Natalie Portman) è una delle ballerine di punta di una compagnia di danza newyorkese, selezionata dal direttore artistico Thomas Leroy (Vincent Cassel) per sostituire l'étoile Beth (Winona Ryder), ormai a fine carriera, e interpretare il ruolo principale nell'allestimento de Il Lago dei cigni di Ciajkovskij con cui verrà inaugurata la nuova stagione: "La storia la conosciamo tutti: una giovane dolce e pura, prigioniera nel corpo di un cigno, desidera la libertà, ma solo il vero amore spezzerà l'incantesimo. Il suo sogno sta per realizzarsi grazie a un principe, ma prima che lui le dichiari il suo amore, la gemella invidiosa, il Cigno Nero, lo inganna e lo seduce. Devastata, il Cigno Bianco si getta da un dirupo e si uccide. E nella morte ritrova la libertà". Perfetta per il ruolo del Cigno Bianco, Nina ha bisogno di impadronirsi meglio del personaggio del Cigno Nero ("Il difficile è la metamorfosi nella gemella malvagia"), spronata e spinta fino al limite delle proprie capacità dal suo direttore per vincere la concorrenza di Lily (Mila Kunis), una delle nuove ballerine della compagnia. Nina, però, che vive con una madre (Barbara Hershey) invadente e oppressiva e soffre di gravi disturbi psichici, man mano che inizia a immedesimarsi nel ruolo, si convince di essere perseguitata da Lily: la sua mente, allora, finisce per andare definitivamente in pezzi e le sue fobie si trasformano prima in ossessione e poi, inesorabilmente, in schizofrenia. La sera della prima esplode il dramma: Nina, sempre più sconvolta, si esibisce magnificamente e lo spettacolo si rivela un trionfo, ma per la giovane e splendida étoile i confini tra realtà e finzione si confondono nei labirinti della sua mente malata, conducendola fino all'inevitabile tragedia.

Per questa irrisolta ma allo stesso tempo affascinante e coinvolgente incursione nel dramma psicologico, Darren Aronofsky si affida, dopo il successo di The Wrestler, a un team di sceneggiatori semiesordienti (soggetto di Andres Heinz, che firma anche lo script insieme a Mark Heyman e John J. McLaughlin) e torna ai barocchismi di Requiem for a Dream e L'albero della vita trasfigurando nel sangue il rosso delle scarpette powell-pressburgeriane: attentissimo all'incedere incalzante del ritmo del racconto e alla costante ricerca dell'effetto conturbante, il regista newyorkese, che meditava di realizzare il film sin dal 2000, sceglie, infatti, di incollare morbosamente la sua macchina da presa ai volti e ai corpi dei personaggi, pressandoli anche attraverso, ad esempio, i frequenti jump cut del montaggio (il più evidente ed efficace nella sequenza in cui Nina si sta masturbando senza essersi accorta della presenza della madre in camera da letto), per coglierne ogni frattura emotiva e immergere lo spettatore nei tormenti che li affliggono.

Stilisticamente, quindi, Aronofsky dimostra sempre, a prescindere dall'efficacia delle soluzioni adottate, un indubbio e sprezzante coraggio per quei precari equilibri con cui rischia (volontariamente o involontariamente) di precipitare nel ridicolo: Il cigno nero non fa eccezione e, come Requiem for a Dream (di cui ripropone simbolicamente alcune situazioni: la colazione di Nina come quella di Ellen Burstyn, la pelle martoriata dalle ferite e le ali tatuate sulla schiena di Lily come i buchi della siringa sulle braccia), si nutre dell'identica aspirazione a lanciarsi nel vuoto del "sopra le righe". Se, infatti, la confezione spettacolare si avvale di contributi efficaci e suggestivi, partendo dall'ineccepibile smalto della fotografia di Matthew Libatique e arrivando fino allo score composto da Clint Mansell, che, con la collaborazione di Matt Dunkley, si occupa anche di adattare e arrangiare le musiche originali di Ciajkovskij (campionate, sempre in colonna sonora, anche dai Chemical Brothers), passando per le coreografie dei balletti, curate dal francese Benjamin Millepied (compagno, nella vita, proprio di Natalie Portman e anche interprete, nel film, del personaggio di David, il ballerino principale della compagnia di danza), qualcosa nell'impalcatura del film scricchiola e non convince pienamente: la più immediata e banale? Durante il gran finale, un intero atto del balletto, quello corrispondente all'esibizione di Natalie Portman come Cigno Nero (per una durata, quindi, tutt'altro che breve), si svolge con la protagonista che danza con una scheggia di vetro conficcata nel petto: la ferita, però, inizierà a sanguinare soltanto durante l'intervallo che precede l'ultimo atto, per poi condurla alla morte proprio in coincidenza con il finale dello spettacolo. Un espediente, quindi, senz'altro di impatto, ma anche artificiosamente eccessivo. Ed è proprio questa artificiosa, plateale e ridondante eccessività a rendere Il cigno nero un'opera imperfetta, dove la messa a fuoco smarrisce spesso lucidità disperdendo gli umori più vitali e affilati dello script: lo sguardo dell'autore, infatti, tralascia troppo spesso il quadro d'insieme per concentrarsi sull'accumulo dei dettagli, col risultato di sovraccaricarli di significa(n)ti e, per assurdo, impoverirne e banalizzarne la sostanza.

Con i suoi pregi e difetti, Il cigno nero finisce con l'apparire come un gigantesco calderone dove ribollono fiammeggianti intuizioni, manierismo, stereotipi, guizzi di folle genialità e disarmanti banalità, in un tripudio di simbolismi, dualismi (anche schematici, come i titoli del film: bianchi su sfondo nero quelli di testa, neri su sfondo bianco quelli di coda, che poi si invertono nuovamente di colore dopo aver esaurito i credits principali) e parallelismi (quelli, ovviamente scontati, con la vicenda di Il lago dei cigni, esplicitati sin dall'incipit del film, con Nina che sogna l'incantesimo di Rothbart, ovvero il prologo del balletto), trasfigurazione allegorica, esplorazione/manipolazione/mutazione del corpo per tentare di raggiungere perfezione e percezione del sè e dell'altro-da-sè, qui rappresentato da un lato oscuro nutrito dalla schizofrenia. E ancora: gli specchi, il vomito come rigetto della realtà, il sangue, sogni, incubi, gli abissi della follia, la dissoluzione, Ego e Es, luce e ombra, lacerazioni e ferite (ossa che scricchiolano, unghie tagliate o spezzate, pelle strappata o squarciata da lame), metamorfosi, discesa agli inferi, trapasso dall'infanzia all'età adulta, la malattia (dalla già citata schizofrenia, con corollario di disperazione, allucinazioni e manie di persecuzione, all'anoressia), ali, angeliche o diaboliche (cigno bianco/cigno nero), e piume

Un'ultima nota per il cast, dove spicca la performance intensa di Natalie Portman, perfetta nel rendere ogni fragilità della sua Nina: sempre tesa, insicura, piagnucolante, magistrale nel lasciar illuminare i suoi sguardi dai lampi inquietanti della follia (tanto da vincere a mani basse l'Oscar come miglior attrice protagonista), sopravanza di gran lunga le pur convincenti prestazioni degli altri interpreti, da Mila Kunis a Vincent Cassel, da Barbara Hershey a Winona Ryder.

Darren Aronofsky: "Nel mondo del balletto ci sono specchi ovunque. I ballerini guardano sempre se stessi, quindi il loro rapporto con l'immagine riflessa rappresenta una componente importante di quello che sono realmente".

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