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Il cigno nero

Regia di Darren Aronofsky vedi scheda film

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La recensione su Il cigno nero

di chinaski
6 stelle

Cinema di percezione, alterata, allucinazioni macabre e inquietanti, un trip andato a male, sostanze psichedeliche scadute, ossessioni compulsive, la realtà vista attraverso la mente di una ballerina fragile e stupenda (o forse è solo il regista sotto acido), che precipita in un vortice autodistruttivo in cui arte e vita si toccano e allontanano come in una danza suicida. E’ la macchina da presa di Aronofsky che balla con la Portman, volto tragico che sublima la sofferenza del proprio corpo, personaggio votato al masochismo, i graffi sulla pelle, le unghie rotte, l’incapacità di evadere dalla gabbia della perfezione tecnica, i sentimenti incapaci di trovare un modo di esprimersi, tenuti lontani dalla glacialità di una donna che rinuncia alla passione dei sensi, esplosioni erotiche in un viaggio onirico e lisergico in cui sembrano aprirsi le porte di una nuova percezione interiore, il sesso finalmente, energia caotica e anarchica, lo sdoppiamento della protagonista, la scissione dell’ego, una madre possessiva e frustrata da una carriera finita, l’illusione di avere una bambina che non crescerà mai, la stanza della ballerina come una casa di bambole e la ricerca, il bisogno di trovare e mostrare il proprio lato oscuro, il cigno nero, le pulsioni che battono nel buio dell’anima e infine il palcoscenico, il luogo in cui avviene il sacrificio finale, dove si ricompongono le molteplici fratture, senza nessuna guarigione, solo l’estasi dell’arte, dove brucia libera l’ambiguità inconciliabile dell’essere umano.

Aronofsky si abbandona totalmente alle proprie allucinazioni e a quelle della sua protagonista, perdendo il controllo della propria opera, proponendo potenti e suggestive rappresentazioni visive, quelle del balletto, in cui la sua macchina da presa danza con la Portman, che inquieta per quel volto tragico che porta il suo dolore ovunque, un dolore che neanche il ballo sembra poter liberare, anzi, lo aumenta e lo amplifica, ma il regista non riesce mai a mostrare quello che si nasconde dentro Nina, nel suo cuore, quale sia l’origine di questa sofferenza così atroce, il dolore può essere sublime, il masochismo la sua forma di espressione più pura, ma il buio dell’anima non ha bisogno di distorsioni per essere mostrato, serve la lucidità di uno sguardo che esplora l’abisso che ha davanti e che dopo aver sconfitto la paura, ad occhi aperti, vi si getta dentro.  

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