Regia di Mel Brooks vedi scheda film
Sicuramente in quel momento Brooks se la passava bene. Nel solo 1974 il regista/attore americano si permette di fare uscire questo Mezzogiorno e mezzo di fuoco e (qualche mese prima) Frankenstein Junior, ovvero due fra le migliori parodie di genere mai viste. Qui l'evidente intento è quello di prendere spunto dal Mezzogiorno di fuoco di Fred Zinneman (1952) per giocare con – e ribaltare sistematicamente – tutti gli stereotipi del western, ma anche con il cinema stesso, in un senso più ampio (frequenti i momenti di 'film nel film', metacinema, autoriferimenti, anacronismi, con un finale sbracato al limite del delirio) e con la società contemporanea. Brooks, con un copione da lui firmato insieme a Norman Steinberg, Alan Uger, Richard Pryor e Andrew Bergman, porta in scena il razzismo e la violenza con un'esasperazione che oltrepassa di slancio i limiti del ridicolo, dando il senso dell'assurdità di tali concetti nella nostra quotidianità: inutili furono le rimostranze della produzione di fronte ai ripetuti 'nigger' nei dialoghi e a scene in cui venivano brutalmente pestati una vecchia e un cavallo (!). Il regista-autore tiene per sé un tris di cameo, mentre i due protagonisti Cleavon Little e Gene Wilder sono davvero irresistibili; in ruoli laterali compaiono poi gli immancabili Madeline Kahn e Dom DeLuise, ma anche Harvey Korman, Slim Pickens, Burton Gilliam e David Huddleston. Gag sottili e pesantissime (la scena del tripudio di peti e rutti ha di che insegnare alla commedia italiana degli anni 70-80) si mescolano, formando la cifra della comicità di Mel Brooks e, soprattutto, lasciando un quadro impietoso dell'America del 1974. 7,5/10.
Spinto da una speculazione sul terreno di Rock Ridge, il governatore manda uno sceriffo nero nel paese, per scatenare il caos; lo sceriffo però è furbo e simpatico e ben presto i cittadini sono dalla sua parte.
(Re-visione 24/8/01)
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