Regia di George Nolfi vedi scheda film
Ammantato da una velata aura di religiosità new age, The Adjustment Bureau propone uno sguardo interessante sul confronto-scontro fra gli imperativi del determinismo e la beffardaggine del caso, ispirato (quest’ultimo) ai moti dei sentimenti e (in particolare) ai capricci del cuore (laccato di melassa della West Coast); tutto ciò che rappresenta l’essere umano (spesso burattino; altre volte attore protagonista; libero e sempre fiero di – credere di - esserlo).
Il film gioca all’incastro ed all’accumulo dei Disegni individuali; al di essi tentativo di scomposizione per effetto di una forza potente, che segue leggi diverse; ed esplora il dubbio che finanche quest’ultime leggi, solo apparentemente diverse, possano invero affondare le radici su un medesimo piano comune (la forte attrazione tra David ed Elise è frutto di un condizionamento passato; un precedente ‘piano’ poi abbandonato; Indy68).
L’intelaiatura del film, a livello di soggetto, c’è e regge (e non c’erano dubbi, d’altronde, visto l’autore del soggetto)…
Ma il film risente di troppi alti e bassi.
Molta affettività nelle parole e la poesia di talune scene toccano e suscitano un certo trasporto emotivo, ma anche sentimentalismo meno raffinato, a volte oserei dire dozzinale, che frena l’entusiasmo e riporta coi piedi per terra. La sospensione dell’incredulità è messa spesso a dura prova e, quando ciò accade, la trasgressione dei moniti del raziocinio si fa sciocca pretensione (l’attuazione dei Piani da parte dei vari esecutori è rimessa a modalità operative assai discutibili); benchè l’alone di mistero, da un lato, e le sirene dei sensi, dall’altro, spingano per esercitare un richiamo forte, che superi ogni incongruenza.
A livello attoriale, poi, Matt D. è un attore che mi piace, ma occorrerebbe capire che non è buono proprio per tutte le stagioni (non va bene per qualsiasi ruolo indiscriminatamente; come in questo caso). Emily B., splendida, ma più emaciata del solito, invece compensa un po’ i limiti del suo cavaliere (con il quale si abbandona ad una sintonia “epidermica”; alan smithee).
Fantascienza zuccherosa, per uno svago contenuto.
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