Regia di George Nolfi vedi scheda film
Compr(om)esso tra l’aspirazione di porgere interrogativi filosofico/esistenziali più o meno alti e l’obbligo di rispettare i canoni che impone la macchina produttiva hollywoodiana (refrattaria alle deviazioni dal “piano”), I guardiani del destino si piega naturalmente a quest’ultima. Ad un certo punto, si vede il prode politico David Norris (Matt Damon) scattare in velocità, scansare/scazzottare con abilità i paludati ed ossequiosi avversari e prendere decisioni rischiose ma risolutive in un battito di ciglia, proprio come Jason Bourne. Ma col cappello.
E’ pur vero che non ci sono grossi effetti speciali e le sequenze d’azione sono limitate (colpa del budget?), ma temi ricorrenti nella cultura americana sono presenti e sviluppati in maniera piuttosto convenzionale: l’uomo comune (?) che improvvisamente si trova catapultato in un intrigo dai contorni inesplicabili, la lotta per l’autodeterminazione, un cammino avverso e irto di ostacoli, un amore contrastato. Ecco, proprio l’aspetto romantico dell’intera storia è preponderante ed ha uno svolgimento classicamente rassicurante; tuttavia i noti meccanismi, che stimolano empatia per i protagonisti, funzionano e sono ben strutturati, così da trovarsi tesi ed appassionati per il loro rapporto amoroso e per il loro destino. Merito soprattutto di dialoghi e scene effervescenti e non (tanto) banali, e della prova della deliziosa Emily Blunt, che interpreta la ballerina Elise; colei cioè che fa guastare il “lavoro” dei misteriosi guardiani.
Essi, che hanno comportamenti, modi e abiti che li fanno collocare nell’immaginario collettivo della Hollywood degli anni quaranta-cinquanta, sono al servizio di un fantomatico “presidente”, ente superiore, creatore del disegno che governa l’intera umanità e che prevede, per David Norris, un futuro dapprima da senatore e poi da Presidente, ruolo da cui non si potrà prescindere per il bene del mondo. La sua relazione con la ballerina, già concepita in precedenti versioni del piano, rappresenta quindi un’inammissibile e troppo rischiosa deviazione dallo stesso, ed è compito/missione dei guardiani (angeli?), correggere imprevisti e indesiderati cambi di rotta, aiutati in ciò dai poteri loro conferiti, quali: piegare lo spazio attraverso porte del substrato, pilotare oggetti e persone in determinate direzioni (le coincidenze … spesso non lo sono …), resettare menti che troppo si sono avvicinate alla verità.
Il crollo del libero arbitrio, insomma. Che esiste soltanto per avere la (labile) libertà di (dis)orientarsi in un complesso precostituito e “precotto” di accadimenti e decisioni, d’indirizzi e sogni. Un labirinto senza uscite che trascende il volere e il sapere, con angusti corridoi e mura opprimenti, angoli viscosi e porte (im)mutevoli; ogni azione, tentativo, legame conduce inesorabilmente nell’inestricabile vincolo, unilateralmente generato, di un fato di cui si è semplici ed ignare pedine, e presidiato da “riparatori”, ignari a loro volta di cause ed effetti degli ordini che devono eseguire.
Tale materia è affrontata da George Nolfi, regista e sceneggiatore, in maniera semplicistica e superficiale; subordinata, inoltre, sia all’aspetto romantico, con cui invece avrebbe potuto formare un interessante intreccio emozionale/metafisico, sia alla solita esaltazione dell’uomo (in questo caso un politico sui generis, valente ed onesto, amato dalla gente, che non può non ricordare JFK o Obama) che, in modalità supereroe, affronta sventure e demoni personali. Il tutto speziato con dinamiche talvolta confusionarie quando non necessarie, pur essendo al contempo eccessivamente didascalico. Sostanzialmente non riesce a tradurre in immagini e parole, e conseguentemente ad infondere, l’inquietudine e l’angoscia nonché la fantasia psichedelica che sarebbero state doverose per trasporre ed attualizzare il breve racconto di Philip K. Dick (Adjustment Team) da cui I guardiani del destino è tratto.
Certo Nolfi è all’esordio, ma si avvale di una buona fotografia, e comunque ci sono alcune scene ben realizzate (il primo incontro di Norris con i guardiani e la successiva, vana, fuga nei labirintici spazi del posto di lavoro; il discorso post-sconfitta alle elezioni del Senato); sufficientemente coinvolgenti tutte quelle con la (im)possibile coppia, in particolare i loro gustosi siparietti.
Detto della buona impressione suscitata dall’interpretazione di Emily Blunt, altrettanto non si può dire di Matt Damon, non che sia notevolmente negativa, però pare ormai avere la stessa faccia ieratico/tormentata in tutti i suoi ultimi film. Forse ha bisogno di ruoli più stimolanti o semplicemente diversi. Fra i comprimari da segnalare assolutamente Terence Stamp, sin dalla sua entrata in scena, che fa suo con classe il ruolo del guardiano risolutore Thompson.
Al debutto. E si vede. Equilibrista.
Agli uomini piacciono le ballerine.
In gamba.
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