Regia di Rodrigo Cortés vedi scheda film
Senza dubbio la sfida era ardua: fare un film su un uomo chiuso in una bara che cerca di liberarsi mentre tenta di spiegare, a tutti coloro che riesce a contattare con il cellulare lasciatogli in dotazione dai suoi aguzzini, come ha fatto a finire in quella scomoda, sul vero senso della parola, situazione. E, a quanto pare, a Cortes (vedere come si scrive) non manca il coraggio necessario per osare, finendo per fallire miseramente. Un film così telefonato (letteralmente) non l’avevo mai visto prima, nemmeno In linea con l’assassino era riuscito ad arrivare a tanto. La difficoltà maggior sta nello spiegare un rapimento in Iraq senza usare lo scenario di guerra che tende a facilitare la “comprensione” di certi gesti. Se parlare di attentati utilizzando la guerra finisce, in certi casi, per essere poco comprensibile come è minimamente pensabile che possa essere capito a parole ansimate a telefono e ripetute fino ad assillare. Di certo la presenza di Ryan Reynolds non in fluisce, come da probabili intenzioni del regista, sull’attrattiva della pellicola che ha tra le poche qualità, quella di creare uno stato claustrofobico per tutti i novantacinque minuti che ha a disposizione per lo svolgimento di una trama necessariamente intricata per allungare il brodo. L’idea risulta essere anche affascinante ma di certo, il solo fascino che suscita, non è necessario a renderla interessante quanto potrebbe. Allora, a posteriori, mi chiedevo: se invece di utilizzare l’Iraq si fosse parlato di mafia? Già visto? Troppo banale? Siamo sicuri?
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