Regia di Mauro Bolognini vedi scheda film
Un gran bel film, sotto tutti gli aspetti, anche al giorno d’oggi. 68ino, (si era nel ’70), socialista soprattutto. Esemplare nell’affrescare il socialismo glorioso, quello dell’800. Quelle delle lotte per i diritti dei lavoratori, le uniche che davvero hanno trascinato dietro di sé in modo efficace l’affermazione dei diritti umani.
La giusta lotta verso lo sfruttamento capitalista; gli eccessi e i grandi pregi della tradizione anarchica; l’importanza dell’alleanza tra le vittime del’oppressione, a costo anche di enormi sacrifici: questi sono temi di un film che è soprattutto politico, ma che ha anche ben altro, che lo rende splendido, proprio per il contorno. Detto che il soggetto è un romanzo celebre, qui l’intelligenza sta proprio anche nella rievocazione storica: parlare del passato proprio per rinforzare il discorso sul presente, che è urgente, e che richiede la consapevolezza di una continuità con il passato, nei motivi della lotta dalla giusta parte. Il romanzo di Pratolini è stato adattato da un maestro della sceneggiatura “impegnata” di allora come Ugo Pirro, come anche da Suso Cecchi D’Amico, e dal regista stesso, il quale proveniva da quella Toscana che qui palpita in mood innegabilmente autentico, esibendo l’impeto, la spregiudicatezza e la passionalità di tanti suoi figli.
La splendida colonna sonora di Morricone sottolinea anche la perfetta, discreta ma intensa, resa delle vicende amorose del protagonista, con le sue inquietudini, le sue pecche. Bravo il 18enne Ranieri, come tute le sue donne in questo film, da Tina Aumont a Lucia Bosè a una eccellente Ottavia Piccolo, allora solo 21enne. A impreziosire il tutto stanno al fotografia di Guarnieri, la scenografia di Josia, e soprattutto i costumi di Tosi: ma la ricostruzione “calligrafica”, cui spesso è stato ridotto il cinema di Bolognini, non basta affatto qui a restituirne il valore, che va ben al di là, ed è quello di un’opera d’arte completa: calda, profondamente commuovente, e soprattutto ricca e autentica nel messaggio.
Cinque anni più tardi con “Libera, amore mio” Bolognini su questa falsariga offrirà una prova ancora più alta, e sorprendentemente strepitosa, cimentandosi nell’antifascismo, e sempre in una raffigurazione appassionata dell’anarchismo.
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