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Messia selvaggio

Regia di Ken Russell vedi scheda film

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La recensione su Messia selvaggio

di maso
10 stelle

Un altro film di Ken Russell incredibilmente bello ed emozionante dedicato ad un artista anticonvenzionale e talentoso che nonostante abbia vissuto pochissimo ha lasciato un solco profondo nella roccia dura della storia dell'arte. 
Trovo sia stata davvero una intuizione brillante voler raccontare la vita di Henri Gaudier, perché era un creatore di immagini e visioni tridimensionali e pittoriche dalla fantasia straripante, tanto e come lo era Ken Russell: la telecamera diventa la mano che muove il gessetto e martella lo scalpello per creare i contorni della vita di questo artista esuberante e delle sue opere partendo non dall'infanzia ma dal momento decisivo della sua breve gioventù, l'incontro a Parigi con la scrittrice polacca Sophie Brezka di quasi vent'anni più grande che lo accompagnerà per tutta la carriera apparentemente come compagna ma in realtà come tutrice, entrambi assumeranno il cognome dell'altro senza mai sposarsi e a detta di molti senza mai consumare, cosa che anche Russell sottolinea nella sequenza della spiaggia che comunque esprime il grande amore fra loro esteso al talento puro di Henri della quale Sophie era estasiata ed assuefatta al punto di soffrire il rumore ossessivo dello scalpello come un tarlo che rode l’anima senza sosta.
Al contrario del libro omonimo di H.S. Ede dal quale è tratto il film è tutto incentrato sulla relazione fra Henri e Sophie ma la vivacità dello script è esaltata più dalla interpretazione straripante degli attori che dagli abituali eccessi visivi di Russell che da quindi prova di non essere schiavo della sua idea di cinema ma di saperla adattare a seconda delle esigenze, l’unica sequenza dal sapore anacronistico oltre che surreale è quella in cui Henri scolpisce sull’asfalto con il martello pneumatico un’immagine ibrida fra una Madonna con il bambin Gesù e la facciona gigante di un Moai dell’isola di Pasqua che riporta a quella vera e propria sulla quale Henri si era seduto urlando la sua idea filosofica dell'arte, appare più come un incubo ad occhi aperti di Sophie la sequenza del treno che sta per travolgere Henri, forse un triste presagio, il timore di perderlo.
L’interpretazione di Scott Antony è strepitosa perché riesce ad esprimere con fisicità e tempismo perfetto il genio incontenibile del suo personaggio ma anche la profonda sensibilità e la rabbia che un’artista di questa caratura probabilmente aveva, dico probabilmente perché nelle tante biografie realizzate da Ken Russell c’è sempre la sensazione che il regista abbia fatto sua la vita di un artista creando un film che ha la dimensione di una sua invenzione, del suo modo di vedere le cose, bravissima anche Dorothy Tutin nel ruolo di Sophie evidentemente tormentata da questo amore inusuale, indefinibile, soffocato dall’esuberanza artistica di Henri che sa di non poter corrispondere a livello fisico, l’alchimia fra i due attori tiene tutto il film a livelli di interesse altissimo ma anche il cast di contorno è eccellente impreziosito dalla presenza sensuale di una giovane Helen Mirren in uno dei suoi primi ruoli…e che ruolo!
Fa la parte della ricca figlia di un ufficiale dell’esercito che si presta a fare da modella al messia selvaggio posando nuda in tutte le sue rotonde e morbide forme passeggiando disinvolta davanti alla telecamera.
Il resto lo fa il grande Ken Russell con il suo talento impagabile, un film del genere fatto da chiunque altro non mi avrebbe interessato per niente, ma con la sua messa in scena preziosissima e il ritmo incalzante del montaggio la storia di Henri Gaudier mi ha coinvolto profondamente: c’è tutta la stima per i maestri del cinema nella rappresentazione della grotta laboratorio di Henri con le sbarre d’acciaio sotto la stazione che ricorda tantissimo un set di “Metropolis” di Fritz Lang, la scommessa con il mercante d’arte snob per il quale Henri scolpisce in una notte un busto di donna per dimostrare le sue capacità è l’emblema della fatica e l'ossessione per l’arte, la frase conclusiva della vita di Henri direttamente dal fronte “Sono riuscito a far arrabbiare anche il nemico” prima della sequenza finale con le sculture di Gaudier che lo hanno incoronato profeta del vorticismo rappresentano senza fronzoli e ghirigori l’omaggio diretto a questo indimenticabile artista strappato al mondo nel fiore della sua creatività dall’assurdità della guerra.

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