Regia di Caspar Wrede vedi scheda film
Piccolo assaggio della ricognizione monstre nell'universo concentrazionario sovietico dell'Arcipelago, storie di andata senza ritorno verso un mondo di soprusi e sofferenza, dove il volto del potere e delle sue miserabili ramificazioni gerarchiche mostrava il suo reale significato di annichilimento e abbrutimento della natura umana.
Quando i gelidi rintocchi metallici danno la sveglia ai detenuti del campo di concentramento di cui è ospite, il prigioniero Ivan Denisovich Suchov sa che lo aspetteranno una dura giornata di lavoro in condizioni climatiche proibitive, le magre razioni di un rancio al limite della sopravvivenza ed il pericolo sempre incombente di un qulasiasi malanno che significa morte certa...
Epica minimalista del GULAG, ovvero piccolo assaggio della ricognizione monstre nell'universo concentrazionario sovietico dell'Arcipelago, in queste piccole storie di andata senza ritorno verso un mondo di soprusi e sofferenza, dove il volto del potere e delle sue miserabili ramificazioni gerarchiche mostrava il suo reale significato di annichilimento e abbrutimento della natura umana; qualcuno però resiste, non ostante tutto. Certo che accostarsi al microcosmo di disperazione e resilienza umana del fulminante esordio di Aleksandr Solzenicyn, non poteva essere operazione semplice nè indolore. Ci riesce in parte questa co-produzione Anglo-norvegese che nell'anno del Nobel non ritirato (lo farà solo nel 1974), si attira gli strali della censura del paese scandinavo preoccupato di compromettere i buoni rapporti diplomatici con l'Unione Sovietica e che lo distribuirà solo più di vent'anni dopo, quando paradossalmente il racconto del dissidente russo era stato invece un unicum nell'allineato panorama letterario in patria godendo delle simpatie politiche nel fortunato decennio di destalinizzazione dell'era Chruscev.
Ascrivibile al filone del cinema politicamente impegnato dei primi anni '70, ma che risente di una ricerca formale che si era fatta le ossa con le sperimentazioni del decennio precedente, questo adattamente filologico del racconto di Solzenycyn fa dei primissimi piani e della voce off i convenzionali espedienti di una struttura narrativa che ricalca il flusso di coscienza del protagonista principale, sopperendo attraverso l'uso della panoramica (emblematica quella che apre e chiude il film con la vista dall'alto di una cittadella circondariale che illumina a giorno la lunga notte siberiana) e delle scene in esterni, il respiro corto di scelte espressive abbastanza anonime e di un inevitabile didascalismo di fondo.
L'incubo minimalista di chi deve confrontarsi con una quotidiana lotta per la sopravvivenza, il clima di terrore che governa le azioni di tutti gli abitanti del campo (guardie incluse) come pure il senso più alto di un afflato spirituale che rivivono con lucido disincanto nelle pagine del libro, si riducono al mero pretesto per una messa in scena che ne riesce a cogliere solo la scabra cronistoria, rinunciando di fatto a quel taglio espressionista che il rigore morale ed il senso complessivo del soggetto avrebbero reso affatto necessari. Film che gioca le sue carte ideologiche sulla spirito di denuncia agli abomini del regine stalinista non menzionando, a torto, una delle pratiche più odiose e vili del sistema penale marziale come quello di condannare quale spia (Suchov rientra tra questi, come in parte l'autore: valoroso ufficiale dell'Armata rossa condannato per una lettera ad un amico) un qualunque soldato sopravvissuto alla prigionia tedesca sul fronte orientale, cui fa riferimento il coraggioso revisionismo di un autore altrettanto osteggiato come Aleksej German (Proverka na dorogakh - 1971). Resta una fedeltà al racconto che lo script di Ronald Harwood ricerca in modo puntuale, ben resa da un impianto scenografico e da una fotografia di livida suggestione, come pure dalle azzeccate scelte di un cast che si avvale del volto disilluso e sofferente dell'ottimo interprete britannico Tom Courtenay nel ruolo di Suchov e di quello rapace e remissivo dello 'sciacallo' Fetjukov interpretato da Alf Malland.
Premiato nei Migliori dieci Film del National Board of Review americano nel 1972 e nominato ai BAFTA 1973.
"La Legge è una cosa elastica. Finisci la tua decina, e ti dicono: tò pigliatene un'altra."
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