Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film
L'ultimo film di Rossellini non sarà il suo migliore, ma non è nemmeno da buttare. Ogni volta che si decide di rappresentare il Cristo al cinema (come in letteratura e in ogni altra forma d'arte) è chiaro che è presupposta una scelta "politica": si può ad esempio voler pubblicizzare un santino come nel "Gesù di Nazareth" di Zeffirelli oppure mettere in scena un rivoluzionario come nel "Vangelo secondo Matteo" di Pasolini. Il film di Rossellini, se mi è consentito il paradosso, mi sembra voler rappresentare laicamente Gesù in quanto Messia, in quanto inviato da Dio al suo popolo eletto, ma soprattutto in quanto atteso (e/o rifiutato) da esso. Ed in sostanza è proprio questo che, dai tempi di Gesù, fa la differenza tra cristiani ed ebrei, essendo i primi coloro che hanno accolto nel figlio del falegname di Nazareth l'inviato del Signore. Rossellini nel suo "Messia" lancia pochi messaggi: non fa vedere miracoli e non mette neppure in scena il discorso delle beattitudini, che è invece fondamentale per chi, specialmente tra gli anni sessanta e settanta, voleva mandare un "messaggio" di speranza e di liberazione agli oppressi del mondo, e che poteva essere benissimo utilizzato come anello di congiunzione tra cristianesimo e marxismo. Quello di Rossellini è piuttosto un lavoro filologico, nel senso che si esercita di più sulle usanze del popolo ebraico al tempo della dominazione romana. Lavorando per ellissi, con un procedimento che è l'esatto opposto di quello utilizzato da Mel Gibson per la sua truculenta "Passione", Rossellini salta a piè pari la fustigazione e la crocifissione, per mostrarci Gesù inchiodato al legno e poi deposto nel sepolcro. Perfino la presunta resurrezione (nel senso che ci è mostrato soltanto il sepolcro vuoto) è di una secchezza che colpisce. E sbaglia di grosso chi ha parlato di rappresentazione cristologica da catechismo: qui Rossellini non vuole indottrinare; vuole semplicemente insegnarci qualcosa sulla figura e sui tempi di questo grande uomo, lasciando poi ciascuno libero (al contrario della dottrina domenicale cattolica) di credere se è il Figlio di Dio oppure no.
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