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La messa è finita

Regia di Nanni Moretti vedi scheda film

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La recensione su La messa è finita

di maldoror
8 stelle

Moretti è un misto tra un moralista ascetico e intransigente, e un bambino che vuole rivendicare a tutti i costi nevroticamente il proprio diritto a non diventare grande, a "non superare il complesso di Edipo". Forse è per questo che dopo "Mia madre", di lui, non abbiamo avuto più tracce.

L'alter ego morettiano Michele Apicella, che nel precedente "Bianca" afferma di amare la matematica perché "gli piacciono le cose chiare, nette, un numero o è negativo o è positivo", che si rassegna al fatto di "non essere fatto per la felicità" ma che fa di tutto perché gli altri non si rassegnino all'infelicità, che decide di improntare ad un rigore quasi ascetico la propria vita e che afferma "quando scelgo è per sempre", non poteva non arrivare prima o poi a indossare i panni del sacerdote.

 

Don Giulio, tornato a Roma dopo tanti anni, si trova di fronte un mondo fatto di persone decise a rassegnarsi all'infelicità (propria e altrui) solo perché incapaci di fare i conti con la propria debolezza, e a sguazzare nei propri fallimenti piuttosto che a reagire.

Ecco perché Don Giulio-Apicella-Moretti inizia a mostrare sconcerto e insofferenza (gli stessi che spingono il professore di "Bianca" a diventare addirittura assassino) nei confronti dell'amico Cesare, deciso ad intraprendere la carriera ecclesiastica solo perché incapace di ammettere il fallimento dei sogni di gioventù - lo stesso fallimento che porterà Andrea a diventare terrorista -; dell'amico Saverio, incapace e risoluto nel non voler reagire ad una delusione d'amore; dell'amico Gianni, ridotto a cercare squallidi rapporti sessuali in gabinetti pubblici (senza che, naturalmente, non vengano messe alla berlina dal regista l'abbrutimento e l'intolleranza sessuofoba dei suoi aggressori); del grottesco sacerdote che decide di metter su famiglia perché incapace di portare a termine la propria missione; della sorella che decide di abortire perché incapace di prendersi le sue responsabilità; del vile padre, che decide di rifugiarsi in una ridicola avventura sentimentale lasciando sola la compagna di una vita; e soprattutto di quest'ultima, della madre, di cui Don Giulio non riuscirà forse mai a perdonare il suicidio, visto come estremo atto di debolezza ed egoismo.

Tutto un campionario di personaggi imbruttiti dall'egoismo, dall'individualismo, dalla viltà, dall'indolenza, dalla superficialità, dall'aridità emotiva, ma desiderosi di un'assoluzione che possa consentir loro di sentirsi in pace con la propria coscienza e continuare a portare avanti ipocritamente la propria misera esistenza. Personaggi che, magari indipendentemente dalle intenzioni dello stesso regista, finiscono col fornire il ritratto di una generazione che, forse, è ancora la nostra.

 

Molto probabilmente il miglior film del regista, e forse il film italiano più rappresentativo degli anni '80.

 

Moretti è un misto tra un moralista ascetico e intransigente, e un bambino che vuole rivendicare a tutti i costi il proprio diritto a non diventare grande, che nevroticamente non vuole rassegnarsi all'idea che l'età dei giochi possa e debba finire, che "non vuole superare il complesso di Edipo" ("Sogni d'oro"). Forse è per questo che dopo "Mia madre", di lui, al momento, non abbiamo avuto più tracce.

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