Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
“E poi sono confuso. Non riesco più a capire quello che succede. Forse sono stato troppi anni da solo. Da quando mi hanno affidato la nuova parrocchia non riesco più a lavorare, non riesco più a concentrarmi. La gente ha tanti guai e vengono da me… E mi parlano e spesso, quando parlano, io mi distraggo, penso ai miei problemi…”
Don Giulio (Nanni Moretti), giovane prete romano, fa ritorno a casa per un trasferimento ad una nuova parrocchia dalla quale sono scappati tutti i fedeli nel giro di poco tempo; il parroco precedente, don Antonio (Eugenio Masciari), ha smesso gli abiti ecclesiastici mettendo su famiglia e restando comunque ad abitare a due passi dalla chiesetta di periferia dove esercitava.
Per Giulio, sempre puntiglioso e dal carattere via via più spigoloso, l'impatto con la vecchia realtà quotidiana si rivela tremendo: ritrova la sua famiglia tutt'altro che serena, col padre (Ferruccio De Ceresa) che, come un ragazzino, abbandona il tetto coniugale per coronare un sogno d'amore con un'amica della figlia, gettando nel più drammatico degli sconforti l'anziana coniuge (Margarita Lozano).
Non che al di fuori delle mura domestiche don Giulio ritrovi un mondo migliore: con una chiesa perennemente vuota o quasi, gli unici “fedeli” con cui interagisce sono gli amici di un tempo, ma ognuno di essi naviga in cattive acque, fra ipocrisie, solitudine e distanze emotive: Saverio (Marco Messeri), lasciatosi dall'amata Astrid, non vuole più vedere né sentire nessuno, Andrea (Vincenzo Salemme) deve affrontare un processo per terrorismo, Gianni (Dario Cantarelli) è di nascosto un lezioso omosessuale.
L'apparente gravità di ogni situazione si fa man mano più pesante e le spalle di un prete, che nell'immaginario comune dovrebbero sorreggere le pene dei peccatori, confortarli ed aiutarli, non bastano nemmeno a tenere in piedi l'uomo sotto l'abito talare…
Ancora frammentario e parzialmente legato ad una narrazione episodica, ma in grado di esporre una drammaticità che cresce linearmente senza mai scadere in patetismi, “La messa è finita” è il film della consacrazione di Nanni Moretti; come già accennato, registicamente Moretti si attiene al suo peculiare stile, fatto di tempi troncati, scene(tte) che finiscono “monche”, prima che uno se lo aspetti.
Il fulcro di tutte le vicende è un personaggio nuovo, don Giulio, non più il Michele Apicella alter ego (definizione che gli va senz'altro stretta) del regista presente in ogni suo lungometraggio precedente. In particolar modo, qui ci si riallaccia al riuscitissimo “Bianca”: si segue un protagonista che disprezza la solitudine ma che non riesce a sfuggirne, né ad evitare che i propri cari ne siano scansati o che non vi si crogiolino per deliberata scelta di rigetto di un intero mondo che non appartiene più loro, come nel caso dell'amico Saverio, interpretato dal bravo e ipnotico Messeri d'antan.
Il notoriamente ateo Moretti si mette in panni che sembrerebbero non calzargli per disquisire del ruolo di un pastore di anime, ma in realtà le sfumature del personaggio si fanno “umane”, comuni, fino a sfociare all'indifferenza, al rifiuto, all'incapacità di perdonare. In “La messa è finita” un Nanni ripulito e imberbe (ma già autore scafato) centellina le sue sfuriate di logorrea critica e orchestra con delicatezza un film che gli gira intorno senza renderlo strettamente dipendente dal suo personaggio. A questo fine contribuiscono buoni comprimari a ricoprire i ruoli di contorno, come la Lozano, e giova anche l'inserimento, già prima di “Palombella rossa”, di una velata ma dura riflessione sulla militanza comunista degli anni '70, che risulta smitizzata: nel 1985 ritroviamo solo un cumulo di fallimenti umani e sociali, nessuno escluso, dal prete al sospetto terrorista, passando per il folgorato sulla via di Damasco senza convinzione.
L'appropriata colonna sonora è del buon Nicola Piovani, ma un'importanza capitale va riconosciuta all'impiego di “Ritornerai” di Bruno Lauzi, che sottolinea la chiave di lettura di diversi momenti.
Orso d'argento nel 1986 a Berlino, “La messa è finita” traccia il solco e, come se non fosse bastato “Bianca”, è una sentenza: Moretti tende a slegarsi dai suoi esordi e si assesta come un autore maturo e urticante.
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