Regia di Carlos Saura vedi scheda film
Forse Elisa, vida mia è il film più intimista e introspettivo di Carlos Saura (Atarés), un intreccio di realtà e immaginazione, un malinconico doppio monologo labirintico di un padre e una figlia, però invertito e continuamente alternato nella sua ricorrenza, monologo che lascia spazio al fulcro che circonda questo flusso di coscienza: il confronto tra i due protagonisti e tra essi stessi e il loro passato. Una regressione che colpisce specialmente Elisa, scossa da bambina dall'abbandono del padre e adesso anche dalla crisi del proprio matrimonio: per questo non condanna e non giudica il padre, ma lo capisce e ugualmente Saura partecipa a questo travaglio senza giudicare.
Lo scandaglio del passato fa rinascere le ansie, all'interno di una casa isolata nel mezzo del difficile ma affascinante paesaggio castigliano, il confronto avviene con totale sincerità e confessioni, naturalezza e crisi (quella dopo la rottura col marito Antonio, venuto a trovarla nel suo ritiro meditativo per cercare di riportarla indietro), quindi una regressione che riporta in superficie l'infantilismo e le sue paure, a cui viene data la possibilità di essere esorcizzate dalla autorappresentazione che Elisa "mette in scena" interiormente: immagina di essere la vittima uccisa da suo marito, nel luogo stesso in cui il padre Luis trovò una donna assassinata. L'immaginazione, l'abbellirsi e il vestirsi (o travestirsi) per incontrare la morte, il sogno, trovano il loro corrispettivo nella rappresentazione scolastica (Luis è un insegnante) de El gran teatro del mundo di Calderon de la Barca, commentato alla fine da un ballo che aveva già aperto le danze nei titoli di testa, il famoso Schiarazula marazula di Giorgio Mainerio (non "Mainiero" come risulta nel film), da Il 1° libro de balli a 4 voci accomodati per cantar e sonar d'ogni sorte de istromenti (Venezia, 1578) - riutilizzato anche da Angelo Branduardi in una bellissima canzone.
L'atmosfera solitaria e sospesa della casa di campagna si intreccia indissolubilmente con la contiguità senza cesure di presente e passato, come se i fantasmi fossero davanti agli occhi o l'occhio interiore si sovrapponesse alle cose tangibili, come fosse la materializzazione della coscienza, di cui esalta l'espressione misteriosamente la Gnossienne n. 3 di Erik Satie, nella sua ipnotica semplicità fuori dalla realtà. Ancor più profondamente veniamo introiettati nella mente stessa dissezionata nel tempo di Elisa tramite la stupenda aria di Jean-Philippe Rameau Fatal amour dall'"acte de ballet" Pigmalion (1748), il lamento di Pigmalione innamorato della statua che ha creato, una immagine senza vita. Importante, credo, anche il fatto che i brani di Satie e Rameau siano interni alla vicenda e al suo spazio: proveniendo dal mangianastri del padre la musica si diffonde, agisce e arriva direttamente all'inconscio di Elisa, a distanza, stregandola, perché la musica (per dirla con Vladimir Jankélévitch) è un alibi, è illocalizzabile.
Ottimo cast, ma Geraldine Chaplin dà una esibizione tra le più totalizzanti. 8 1/2
Dvd Multimedia San Paolo.
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