Regia di Hajime Kadoi vedi scheda film
Shinichi Kaneda ha commesso un crimine imperdonabile. Non sappiamo di cosa si tratti, non lo sapremo mai. Ma non importa. Quel che conta è sapere che è nel braccio della morte in attesa che giunga la sua ora. L'esecuzione avverrà per impiccagione, e in quell'occasione le guardie carcerarie dovranno dividersi i compiti: il più duro è quello della "stampella", chiamata a sostenere il corpo del condannato dal momento in cui viene appeso fino all'emissione dell'ultimo respiro. Un ruolo che resta dentro e segna per sempre. Ma un ruolo che consente a chi lo ricopre di godere di una settimana immediata di vacanza. Toru Hirai è una delle guardie carcerarie e nutre un solenne rispetto per quel detenuto modello: mai un fiato, mai una lamentela. La verità è che Kaneda è rassegnato, costretto in solitudine, ascolta senza alcun residuo interesse anche il suo avvocato mentre gli consiglia di tirarla per le lunghe per rinviare l'esecuzione: non lo interessano le visite della sorella, non lo interessa la tv, né tantomeno la radio; l'unica cosa che conta ora sono i disegni coi quali riempie quotidianamente intere pagine del suo album: è lì che riversa quel che resta delle sue emozioni, con una semplice matita e rigorosamente in bianco e nero, perché lui, da tempo rinchiuso in quella cella grigia, i colori non li vede più da un pezzo. Hirai è in un momento importante della sua vita: la sorella gli ha combinato un matrimonio con Mika, una bella vedova con un bambino di 6 anni a carico, Tatsuya. Si sposeranno proprio il giorno dopo l'esecuzione, quindi si offrirà come "stampella" di Kaneda per ottenere la settimana libera che (essendo a corto di permessi) potrà sfruttare per conoscere meglio la sua nuova famiglia.
E' il freddo a dominare la scena in questo singolare film di ambientazione carceraria, non ci sono rivolte né fughe, pianificate o sognate, c'è solo rassegnazione e, da qualche parte, lontana, un briciolo di speranza: la rassegnazione di Kaneda, un uomo finito incapace di guardare ancora avanti, la rassegnazione di Hirai e delle altre guardie carcerarie, inaridite da un lavoro che le costringe a stare quotidianamente a contatto con la morte. La sola eccezione è il novello Otsuka, chiacchierone per indole, e talmente ingenuo da pensare che sia lecito stabilire un rapporto umano con i numeri chiusi nelle celle. Ma anche per lui è solo questione di tempo. «Dopo tanti anni si diventa tutti così» gli dice Hirai riferendosi a Sakamoto, un collega anziano cinico e burbero. Perché se Kaneda non ha più speranze, la vita per Hirai e gli altri continuerà: loro hanno imparato a convivere con la morte, a considerarla non solo routine, ma una vera e propria opportunità.
E' gelida e rigorosa l'opera seconda di Hajime Kadoi, che assume il punto di vista di Hirai, costretto ad una vita di relazioni fatte di emozioni trattenute e represse, impossibilitato a mostrare al condannato la propria umana pietà ed incapace (forse) di aprirsi nei confronti della donna che sta per sposare e di quel bimbo che fatica a riconoscere in lui una figura paterna, e che ama disegnare, ma a colori, perché lui non ha ancora perso l'innocenza. La sinistra dissonanza tra la vita quotidiana di Hirai, le chiacchiere dei colleghi, e le interminabili giornate di Kaneda, crea un corto circuito di insospettabile potenza, destinato a crescere dentro. La sequenza con Kaneda che si prepara (teoricamente ignaro) al suo ultimo giorno mentre Mika si fa bella per il matrimonio imminente, la lunga e raggelante scena dell'esecuzione, e l'immediato (stridente) ritorno alla vita quotidiana hanno un impatto emotivo devastante. Kadoi, con rispetto ed evitando la retorica, mostra della pena di morte non solo la capacità di annientare chi la subisce, ma anche quella di annichilire chi è quotidianamente costretto a conviverci. Lacerante.
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