Regia di Christopher Smith vedi scheda film
Debitore verso le alterazioni del tempo di Memento e sfruttando la circolarità della ripetizione di Ricomincio da capo, Triangle si presenta come un thriller a tinte forti, che mette insieme dramma e horror in un contenitore visivo ammiccante che potrebbe andare dallo slasher più classico a sviluppi psicologici vicini all'alienazione mentale che Kubrick esplorò in Shining. Sopravvissute ad una terribile tempesta mentre sono al largo per una gita in barca a vela, cinque persone trovano soccorso in una grande nave che però scoprono essere deserta. Jess giovane madre problematica di un bambino autistico ha la sensazione di essere già stata su quella nave e diventa vittima dei suoi deja vu. Il regista inglese Christopher Smith in linea con l'interessante precedente Severance tagli al personale (2006) mette in scena situazioni dall'equilibrio precario in cui combina profili psicologici diversi con le paure e le alterazioni del reale che tuttavia la mente crede di tenere sotto controllo. L’obbiettivo è scontato, quello di sconcertare lo spettatore sottraendogli riferimenti razionali e metterne il più possibile in discussione le certezze d'interpretazione secondo quei canoni rappresentativi di genere che hanno potenziato ed elevato l'horror nel periodo tra gli anni settanta e ottanta. Dunque meno sangue e truculenze splatter ma tensione sorretta dalla deriva psicologica portata all'estremo della sopportazione, avvalendosi anche di un apparato simbolico non banale. Con Triangle tutto funziona a dovere per la prima metà, pochino per appiccicarsi addosso un genuino tentativo di emulazione kubrickiano, dove la nave che ospita i naufraghi vorrebbe diventare l'Overlook hotel di Stephen King, la protagonista Jess emulare il Jack Torrance di turno in conflitto col figlioletto ( che però e' rimasto a casa) ed elaborare il senso di colpa, gli amici costituire la potenziale famiglia che la donna deve salvare o eliminare secondo una doppia personalità che grazie all'escamotage della ripetizione del tempo assume un'identità esponenziale. L'azione scorre secondo un timing perfetto creando aspettative e tensioni di alto livello emotivo. La realtà psichica sovrasta quella fisica e la ricerca di creare un ordine degli eventi come il rassegnarsi di fronte all'impotenza del suo contrario, appassiona e diverte facendo battere forte il cuore. Purtroppo però Christopher Smith non è Kubrick e Melissa George che interpreta Jess non è Nicholson, la sceneggiatura inizia a precipitare proprio quando si svela nel dettaglio il congegno dinamico che sorregge il film, cosa che avviene troppo presto per tenere allo stesso livello la costruzione della paura. Fioccano le citazioni con la musica anni 20, le scritte fatte con il sangue, i fogli che riportano la stessa frase....il labirinto psichico di Jess però non si sviluppa lungo uno spazio , quello della grande nave, che può variare molto il ripetersi degli eventi e pur rivelandosi come la memoria del tempo non rispecchierà troppo la potenziale molteplicità della donna. Nel gioco ricorrente dello sdoppiamento e degli specchi della memoria non può nemmeno sfuggire il particolare confronto rappresentato dalle due imbarcazioni, la piccola barca è l’emisfero interiore che consapevolmente attraversa lo spazio e il tempo (la tempesta) per approdare nel transatlantico, cioè in un universo senza limiti in cui gestire tutte le realtà possibili per riscriverne una che porti alla salvezza della coscienza. Non gioca a favore della tensione anche il lato puramente estetico, in cui la gradevolezza della George depotenzia del tutto il confronto interiore ed esteriore con le sue copie. Il tentativo di attribuire il ruolo portante all'interprete femminile che deve far convivere almeno tre ruoli, cioè quello del personaggio risolutore e protettivo diviso con quello che tradizionalmente fa da complemento all'azione virile in preda ai tormenti emotivi e affettivi, e quello di assassina indemoniata potrebbe costituire quell'ipotetico triangolo che dà il titolo al film (oltre che essere semplicemente il nome della barca su cui veleggiavano gli amici). La parte finale offre diversi colpi di scena apprezzabili scrollandosi da un'azione quasi claustrofobica che non aveva più sbocchi da un pezzo, riconciliandosi in fondo alla teoria che il corso degli eventi reali non è modificabile dalla volontà dell'essere umano ma resta preda di un caos ingovernabile dal bene come dal male.
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