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In carne e ossa

Regia di Christian Angeli vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su In carne e ossa

di Spaggy
6 stelle

Partiamo subito da un concetto basilare: non è un film sull’anoressia, non si racconta il calvario che porta una ragazza a farsi impadronire dalle peggiori delle bestie.

 

La bestia ti si annida tra i pensieri, quella cambia l’immagine riflessa in uno specchio distorcendola, quella ti porta a credere che ogni piega della tua pelle divenuta nel frattempo eccessiva sia solo una riserva di grasso, quella ti rende impermeabile all’esterno e all’esteriorità, quella ti rende incapace di amare perché l’unica cosa che ami è il tuo corpo o quello che ne è rimasto, quella ti rende ossessivo e compulsivo fino a rifiutare ogni pensiero che non sia legato a calorie e peso, quella ti da la forza di lottare ogni giorno per raggiungere il tuo scopo primario: morire, quella ti fa rifiutare cure e attenzioni, quella ti rende incapace di riempirti anche metaforicamente di qualcosa.

 

E tutto ciò in Viola, la protagonista del film, manca. Nonostante Viola dichiari spesso di voler porre fine alla sua esistenza, è viva. Viola mangia biscotti e caffè, Viola legge e si nutre di letteratura gotica (“Sepolta viva”, “Misery non deve morire”), Viola ricorda la sua bellezza passata, Viola ha voglia di amare, Viola ricerca le attenzioni dei suoi genitori prima e del suo salvatore dopo, Viola esprime il suo malessere scrivendoselo sulla carne: ogni taglio, ogni osso sporgente, ogni sguardo è una lettera del suo alfabeto, è un ricordo impresso (anche il piercing al labbro è il ricordo di qualcosa).

Il film, tanto per rubare una battuta ad uno dei protagonisti, tratta vari temi di cui l’anoressia è solo quello che si vede in superficie. Le trama principale è legata al tema del riscatto, degli istinti primari dei personaggi principali: tutto ciò che è represso o che è stato represso da fattori esterni è pronto ad esplodere. È un film sulle famiglie da tv del dolore, dilaniate da egoismi e vittime sacrificali… è un film sull’ipocrisia e gli equilibri di facciata.

 

È possibile suddividere la sceneggiatura in tre differenti macromomenti, quasi come a voler seguire lo schema canonico del racconto che già Propp ci aveva enunciato a inizio Novecento.

 

Nel primo, ritroviamo una famiglia medio-borghese afflitta da una serie di innumerevoli problemi: il padre, Edoardo, è uno psichiatra costretto agli arresti domiciliari per aver praticato l’eutanasia su alcuni pazienti, autore di un libro di successo e alla ricerca costante di dimostrare qualcosa alla moglie; la madre, Alice, una borghese decaduta con la passione del pianoforte (sembra sia una pianista),  afflitta per anni da depressione post partum, motivo per cui la figlia viene cresciuta in casa della nonna fino alla morte di costei, fedifraga per passione e per conseguenza di un amore fin troppo presto spento col proprio marito; e poi c’è lei,  la figlia, Viola. Viola che vive chiusa per scelta nella sua stanza, nel suo mondo viola: dalle tende alla copertina del diario, dalle penne ai vestiti… viola come il colore del drappo funebre, viola come le nocche delle sue mani, viola come il vomito di chi non ha più nulla da vomitare, viola come il bordo dei suoi occhi, viola come gli ematomi che circondano i tagli che lei stessa si infligge. Viola non incontra mai il mondo, vive come un fantasma, si nasconde perché ha paura di mostrarsi. Viola che comunica solo con il padre, Viola che non si siede mai a tavola, Viola che si lascia lavare solo dal proprio padre, l’unico secondo lei ad amarla: Viola è malata e il padre la cura con i suoi farmaci, Viola è malata e sente la madre sempre più assente e lontana da lei.

 

Nella villa, costruita in campagna tra alberi e strade sterrate, tra i rumori della natura e le urla del silenzio rotte solo dalla musica del pianoforte della madre, arriva un giovane psichiatra di grande fama, François, all’apice della carriera ma con una situazione sentimentale alquanto instabile. È infatti l’amante di Chiara, personaggio politico di spicco e amica di vecchia data di Edoardo.

 

L’arrivo di François genera la nascita di desideri assopiti in tutti i membri della famiglia: l’arrivo dello straniero scuote il torpore in cui la villa si era ormai adagiata, le regole implicite di convivenza vengono infrante.

 

Edoardo, alla ricerca di un riscatto del giudizio pubblico, tipico di chi ha raggiunto un certo status sociale solo con il tempo (è infatti passato con sacrifici dall’essere un cameriere d’albergo a importante luminare, aiutato proprio dai soldi della famiglia della moglie), cerca di scoprire delle informazioni relative alla figura professionale di François. Il giovane medico, stando a dei pettegolezzi, è sospettato di aver praticato l’elettroshock a delle sue pazienti, dopo averne abusato sessualmente, e le prove di ciò sarebbero proprio nelle cartelle cliniche del computer portatile del giovane. Provare a recuperare quei files per consegnarli a Chiara gli garantirebbe un’eventuale candidatura politica e favorirebbe il suo ritorno sulla scena pubblica. Edoardo riesce ad impadronirsi delle cartelle e ne comunica il contenuto, in segreto, a Chiara. Per Edoardo smascherare François equivale alla sua riabilitazione, al suo scaricarsi le colpe, all’espiare il suo peccato.

 

Alice, alla ricerca di un riscatto soprattutto personale, sentendosi annullata come donna da un matrimonio non felice e da una figlia non voluta, non amata, vede nel giovane psichiatra una possibile fuga dalla sua monotonia. È aiutata nei suoi pensieri peccaminosi dal fatto che la “fidanzata” del medico è quasi una sua coetanea. Patetici e senza esito risultano i suoi tentativi di seduzione, sempre respinti.

 

Viola, alla ricerca di un barlume di luce e da un briciolo d’affetto, vede invece in François la sua via di fuga. Il medico diventerà la sua personale ossessione. E un’ossessione scaccia l’altra… Viola comincia ad uscire dalla sua stanza, Viola si avvicina al cibo, Viola ricomincia a frequentare le altre stanze della casa e comincia ad interagire con più persone. Sentendosi come minacciato dalla stessa Viola, François decide di ritornare alla sua vita e ripartire.

 

Ed è a questo punto che arriva il secondo macromomento, la rottura. Mentre François è via per un weekend, Viola scopre casualmente il contenuto del nuovo libro del padre. “Tua, malata” (questo il titolo del libro) parla della sindrome di Münchhausen, malattia secondo cui un paziente soffre di qualcosa che in realtà non lo affligge solo perché convinto dal proprio medico. La protagonista dello scritto è proprio lei, Viola, convinta dal padre e dai suoi farmaci di essere anoressica. Una sorta di profezia che si autoavvera: far credere a qualcuno qualcosa di irreale che diventerà reale nelle sue conseguenze.



Viola, alla luce della scoperta, vede cadere in frantumi il suo mondo e decide una volta per tutte di farla finita, ingerendo una quantità eccessiva di compresse. Esemplare la scena ricreata dal regista: Viola, dopo aver ingerito le compresse, va a sdraiarsi vicino al tavolo in cui i genitori stanno giocando a carte durante una serata di apparente normalità.



Il tentativo di Viola non va però a buon fine, dopo che il padre le induce il vomito lei si risveglia e ritrova al suo fianco François richiamato d’urgenza dalla famiglia.



E così si entra direttamente nel terzo macromomento del film. Ritornato alla villa, François scopre nella sua giacca una lettera nella quale la sua amata Chiara gli annuncia la fine del loro rapporto e lo comunica durante una cena. Cena che finisce col rivelarsi drammatica e grottesca al tempo stesso: Edoardo e Alice si rinfacciano tutto ciò che hanno celato per anni, astio e tradimenti compresi, fino al momento in cui Edoardo casca per terra chiedendo l’aiuto di Viola. E finalmente Viola ritrova se stessa, ha il coraggio di ribellarsi, di dire no, di riprendersi la sua esistenza, trasformando il suo difetto, la sua malattia, in pregio, in via di fuga. Viola non aiuta il padre asserendo che una famiglia malata non può far nulla.



La scelta di Viola porta François a guardarsi dentro e a capire che anche lui era tenuto prigioniero di un’ossessione, l’amore immaginario e immaginato per Chiara. Si reca nella stanza di Viola, ha un violento rapporto sessuale con la ragazza, quasi uno stupro terminato da lunghi baci tra i due. Viola finalmente è amata, Viola finalmente non si sente più sola.



Il mattino successivo porta verso l’amaro finale. Edoardo scopre che Chiara non è disposta ad affidargli nessuna candidatura alle successive elezioni, il suo ritorno sulla scena non ci sarà. Alice vede allontanarsi la possibilità di una relazione con François: il giovane medico scappa via dalla villa portando con sé Viola, disposta finalmente a ritornare a vivere, lontana da quella villa degli orrori e delle ipocrisie. Edoardo e Alice rimangono soli e continueranno la loro recita, l’unione perfetta non sarà scalfita e i due possono cominciare a preparare la festa per i 25 anni di matrimonio. I numeri primi possono ritornare alla loro solitudine mentre la loro creatura, il loro prodotto, è riuscito a fuggire a quell’amaro destino.

 

Discutibile la trama che riempie quasi all’inverosimile i quasi 85 minuti del film, trasformandolo da film di denuncia a film grottesco… alcuni punti però meritano particolare interesse. In quasi tutto il film è centrale il ruolo della tavola: molte scene cruciali si svolgono durante un pasto…



All’inizio del film è presente la sedia vuota di Viola, quasi a rimarcare che tutto ciò che vediamo è tutto ciò che vede la ragazza: la normalità palesata e l’anormalità reale dalla quale si vuole fuggire.



I momenti in cui Viola è in tavola sono invece un punto di forza della sofferta interpretazione della Rohrwacher: la prima cena imposta da François è altamente emozionante. Si veda la gestualità che l’attrice impiega nel mangiare una crespella (ma nessuno ha mai spiegato al regista che un’anoressica o presunta tale non mangerebbe mai una crespella come primo pasto?), dapprima lentamente e poi furiosamente, con la stessa rabbia con cui rimprovera alla madre il fatto di averle fatto credere di essere brutta.



Quindi, riscatto, ipocrisia, vendetta e tradimento sono i temi trattati dietro allo specchietto dell’anoressia. 



Anoressia generata e risolta nel momento in cui il nemico “famiglia” viene annientato. E a sottolineare l’annientamento è anche l’uso delle luci, uno dei punti di forza del film: tetre all’inizio e sempre più solari man mano che il film si sviluppa.



La regia, nonostante le imperfezioni da opera prima, non sbaglia mai un dettaglio: ogni inquadratura è funzionale, il girato è quasi lineare, cronologico, senza divagazioni temporali.Non si capisce semmai la violenta scena di sesso tra François e Viola, ricercata quasi come scena ad affetto di tutto il film. 



Giudizio complessivo più che accettabile per un film che se rimane a metà strada, in bilico, tra il dramma e il grottesco, sospeso tra “Ragazze interrotte” e “Festen”. Un’occasione mancata per portare all’attenzione il dramma dell’anoressia, tante volte accennato dal cinema e mai approfondito. Paradossalmente al riguardo, l’opera migliore rimane un prodotto televisivo di qualche anno fa, un film tv diretto da Ilaria Cirino Pomicino, “Briciole”.



Sicuramente da tenere d’occhio il giovane regista, Christian Angeli. Un solo consiglio: meno sottotrame e sfumature più marcate nel prossimo film: qui si rimane sempre col dubbio che anche i buoni non siano veramente tali. Sia François che Viola hanno qualcosa da nascondere, il loro modo di amare sembra malato e non mi fa certo esultare la loro fuga finale insieme, rimangono mille dubbi non chiariti. Chi è realmente François? Un medico stupratore che usa le proprie pazienti per i suoi bisogni primari? Cosa c’è nella mente di Viola? È solo vittima della propria famiglia o è lei stessa carnefice?

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