Regia di Raymond De Felitta vedi scheda film
Ecco un piccolo film di cui qualcuno si potrebbe anche innamorare. Ho usato il condizionale per almeno un paio di motivi. Prima di tutto siamo in piena stagione estiva, quando nelle sale non sbarcano che proposte assurde (a proposito, pare che quest'anno, al posto dei tradizionali "horror-scarti-di-magazzino" ci stiano appioppando una manciata di opere prime italiane talmente bruttarelle che uno si chiede quei giovani registi da chi abbiano avuto "l'aiutino" finanziario per realizzarle). Sale deserte, dunque, con qualche sparuto e fesso spettatore come il sottoscritto. In questo panorama lunare non credo proprio che lo spettatore medio in cerca di aria condizionata, apprezzerà granchè questo adorabile film, garbato e bizzarro, intelligente e leggero, dunque già troppo impegnativo per il suddetto spettatore in cerca di evasione pura. In altri termini lo scenario si dividerà tra chi il film non se lo filerà per nulla, e chi lo detesterà trovandolo troppo verboso ("mamma mia quanto parlano...yawn..."). Io credo tuttavia che chi è appassionato di Cinema si affezionerà pericolosamente ad un film che pare fatto apposta per attirare l'attenzione dei cinefili, per commuoverli e per regalare loro un'ora e tre quarti di serenità, di buon cinema dei sentimenti, di trovate divertenti, di dialoghi brillanti e surreali: insomma la solita eterna Commedia Umana. Si entra subito in empatia con un piccolo spicchio di umanità, City Island, una piccola porzione del più famoso Bronx. Già, il Bronx. Ma qui non c'è traccia di gang di rappers minacciosi che si scontrano. Più banalmente c'è una famiglia di brave persone, che potrebbe anche essere la più classica delle famigliole americane...se non fosse che una sceneggiatura frizzante e birichina riserva ad ogni componente vicende e situazioni una più assurda ed improbabile dell'altra, generando corti circuiti esilaranti, paradossi romanzeschi, evoluzioni estreme, ma che poi vengono ricondotte nell'alveo del buon senso, in un finale teatralmente ricco di scene madri che quieterà gli animi esagitati dei protagonisti. Si tratta di un lieto fine però tuttaltro che banale, perchè rappresenta un momento liberatorio in cui scatta un meccanismo incrociato di rese dei conti che susciterà nel pubblico soddisfazione con qualche possibile punta di commozione. Il film possiede lo stile semplice di chi racconta fatti di vita, esistenze comuni, però farcite di complicazioni ed incidenti talmente paradossali da suscitare ondate di ilarità nello spettatore. In questa vicenda, che potremo senz'altro definire "corale" data la quantità dei personaggi che vi irrompono, la cosa più importante è che ognuno nasconde un proprio segreto, ed ognuno a custodia di quest'ultimo erige un personalissimo muro di bugìe o di atteggiamenti fuorvianti, ma nel liberatorio finale cui accennavo questi muri difensivi cadranno e ciascuno si mostrerà nella propria essenziale realtà, scoprendo che non siamo poi così diversi, che tutti siamo deboli e indifesi di fronte ai sentimenti che ci travolgono e che tutti in fondo cerchiamo qualcuno da amare e da cui essere amati. Non ritengo sia il caso di narrare i dettagli della storia, perchè delineando le peculiarità dei singoli ruoli toglierei a chi mi sta leggendo proprio il piacere primario del film, cioè quello di fare la conoscenza dei membri di questa curiosa famiglia e di scoprirne le segrete attitudini. Dirò solo che Andy Garcia è Vince Rizzo, una guardia carceraria, brava persona, ma forse così ingenua da non rendersi conto della portata del segreto che intimamente si porta dentro da anni. Il regista Raymond De Felitta, peraltro affermato pianista jazz, è stato davvero eccezionale nell'imporre a questo racconto uno stile sobrio ma incisivo, sereno ma tutt'altro che statico o noioso. Ma suo merito principale è quello di aver reso protagonista palpitante lo sfondo del film, introducendo noi spettatori ad una ambientazione che presumo pochissimi conoscevano. Cioè ha saputo raccontarci con semplicità un quartiere di New York, anzi una parte di Bronx, fino ad ora inedita al cinema: City Island. Adesso dirò una cosa forse sciocca o curiosa, perchè legata ad una sensazione personale. Vedendo il film, mi è tornata alla mente una vecchia (bella) canzone di Ricky Gianco, "Non si può smettere di fumare", e se vedrete il film capirete perfettamente il perchè. Da segnalare che tutta la durata del film è accompagnata da un tema musicale "da romanza", qualcosa di classico, di cui purtroppo ho scordato di leggere il dettaglio nei titoli di coda, ma che è molto efficace nel regalare ad alcune sequenze una suggestione speciale. Ci sarebbe poi un discorso "delicato" da fare, cui accennerò molto brevemente. Nel film ci viene mostrata, da parte di uno dei personaggi, una specie di "perversione" che lo ossessiona, ai limiti del morboso e del patologico. Ebbene, questa sua "manìa" viene affrontata dal bravo regista in una maniera talmente tenera e simpatica che mi ha ricordato un episodio analogo in quel piccolo capolavoro del 2005 che si chiamava "Me and you and everyone we know". Se avete visto quel film, è impossibile che vi siate dimenticati di quel buffo e tenerissimo bambino nero che chattava solitario su un sito erotico, scambiando del tutto ingenuamente frasi ambigue con un ignoto interlocutore (che poi si rivelò essere interlocutrice). Ecco, ho citato questo "caso" perchè i due delicati episodi sono entrambi stati risolti con uguale impagabile tatto e delicatezza, buon gusto e simpatia (e non era facile). Da segnalare assolutamente la sequenza più riuscita del film, quella in cui Vince Rizzo si sottopone al provino per il casting di un film: una scena da manuale, diretta magistralmente! E veniamo al cast, organizzato in maniera inappuntabile, precisando che accennerò, per motivi di spazio, solo ai tre nomi più celebri. Andy Garcia. La sua stella nel firmamento di Hollywood non brilla forse più come un tempo, sicchè, dopo una serie di ruoli stereotipati da boss mafioso, ha deciso di buttarsi (qui è anche co-produttore) in questa avventura professionale indipendente, nella quale ha avuto modo di gigioneggiare da mattatore e da attore navigatissimo quale è. Alan Arkin. Che dire di questo anziano Premio Oscar? Che per ogni cinefilo è un vero piacere vederlo recitare. E' un attore puro, di stampo teatrale, un virtuoso. Curioso poi il ruolo che qui riveste: quello del maestro di un corso per attori di teatro. E infine la mia prediletta Emily Mortimer, di cui mi pregio di essere un fan un pò innamorato. Anche stavolta l'ho osservata rapito da ogni sua mossa e mossettina. Sì, perchè la Mortimer ha questo suo modo di esprimere una propria fisicità, fatta di smorfiette, di faccine e di gesticolazione. Un modulo espressivo che in chiunque altro risulterebbe lezioso e fastidioso, ma che nel suo caso diventa "speciale", perchè la bella Emily, a mio avviso, ha un suo personalissimo modo di "interiorizzare" i personaggi, penetrandoli al punto di assumerne tutti i tic e i movimenti. E sembra quasi che il regista mi sia venuto incontro, riservandomi numerosi primi piani del bel viso di quest'attrice. Non credo che scorderò mai più questo angolo di mondo, con le barche disposte sull'acqua e con la gente che si dedica alla pesca. A due passi da New York, un ossìmoro che si chiama City Island. Piccolo grande film da non perdere.
Voto: 9/10
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