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Diciotto anni dopo

Regia di Edoardo Leo vedi scheda film

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La recensione su Diciotto anni dopo

di MarioC
8 stelle

Bisogna riconoscere ad Edoardo Leo una capacità sconosciuta a buona parte del corrente cinema italiano leggero, persa nella replica affannosa di modelli sempre uguali a se stessi e di storielle tenute su con due (dicasi due) piloni d'ingegno. Potremmo definire questo quid di stile come levità profonda. Dietro il discreto talento comico, a lato di una capacità tecnica sufficientemente rodata, si avverte il profilo non minaccioso della malinconia, la capacità di parlare universalmente del'uomo e delle sue quotidiane lotte con tutto ciò che lo circonda e con i suoi fantasmi.

Tutto ciò, replicato nell'ultima buona prova Noi e la Giulia, e nel secondo (meno riuscito) Buongiorno papà, è particolarmente evidente nel film d'esordio di Leo, quasi a confermare l’impressione, magari apodittica, secondo la quale l’irruzione sulla scena di nuovi autori di qualche pretesa avviene con i prodotti migliori, perché più sinceri e noncuranti delle aspettative di un pubblico sino ad allora inesistente (con le dovute differenze, credo si possa dire lo stesso di Sorrentino, regista che, benchè evolutosi verso una prossima totale grandezza, si fece conoscere con un ‘operina, quale L’uomo in più, da cui emergeva una sincerità ed una forza di comunicazione, soprattutto verbale, in forza di una sceneggiatura di magnifica fattura, altrove forse non replicata).

 

Diciotto anni dopo è la storia di un viaggio, non solo geografico ma anche e soprattutto interiore. Due fratelli, apparentemente diversi e lontani, segnati da un brusco trauma infantile, sono costretti a condividere attimi, ore, giorni, spinti dalla comune necessità di assecondare le ultime volontà del defunto genitore.

Leo rende il confronto tra i due uomini in termini non disprezzabili, non solo abbozzando ma incidendo con forza nelle rispettive psicologie (l’insicuro irrisolto e balbuziente per inerzia e l’arrivato manager dalle certezze e dai comportamenti granitici), sino a stemperarle nell’agnizione finale, quando ognuno perderà qualcosa per acquistare altro.

Il tutto è condito da una serie di quadretti di interessante vis comica, affidati a personaggi che, pur in brevi apparizioni, garantiscono il risultato: si guardi a Max Mazzotta, portiere dello squallido albergo calabrese, a Carlotta Natoli, logorroica senza ritegno, al bambino necrofilo (interessante questa destrutturazione dei luoghi comuni sull’infanzia, che il cinema italiano di regola risolve con inesausti birignao o sentenze da adulto).

Gli altri attori sono in parte: Leo e Bonini mostrano innegabile intesa, essendo del resto buoni amici nella vita, Sabrina Impacciatore ha una classica recitazione naturalista che, senza eccessi o urlature, le consente di delineare figure di sofferto realismo, Gabriele Ferzetti è un po’ ingabbiato nel ruolo rigido di un anziano sofferente e disilluso, ma ritrovarlo sulla schermo è sempre cosa buona, Eugenia Costantini (figlia di cotanta madre, da cui ha ereditato i tipici scatti da placida nevrotica) non soffre nell'intricato personaggio dell’angelo custode/mamma.

 

Il film funziona soprattutto nelle scene on the road; un po’ più farraginosa è la ricostruzione del dramma che segnò il carattere dei due fratelli: si avverte qualche fumosità di troppo ed accenni ellittici che, non trovandoci di fronte a Nolan, appesantiscono il discorso generale. Ma Diciotto anni dopo è una salutare boccata di aria fresca in un panorama generalmente asfittico quale è quello dei giovani autori italiani.

Mezza stelletta in più per il coraggioso rifiuto di Edoardo Leo verso qualsiasi forma di product placement. Scelta che garantisce rispetto per il pubblico, trattato da fruitore di cinema e non da incallito consumatore di prodotti da sponsor. A meno di non voler considerare pubblicità le rilucenti inquadrature e l’indiscusso amore che il regista mostra per la Morgan, meravigliosa autovettura che vorresti, davvero, correre ad acquistare appena terminata la visione.

 

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