Regia di Kyle Patrick Alvarez vedi scheda film
In tour promozionale con il fratello minore Sean per pubblicizzare il suo primo romanzo inedito (una raccolta di racconti brevi), il giovane scrittore ventottenne Davy Mitchell inizia per caso un’occasionale relazione di sesso telefonico con la sconosciuta Nicole. Solitario, introverso, vulnerabile e riservato, nonostante la bella apparenza, Davy trova in Nicole una persona con cui confidarsi, rilassarsi, aprirsi e dare vita al rapporto a due più stabile e sereno che abbia mai vissuto (“Sei la ragazza più vicina che io abbia mai avuto!” le confessa, non a caso, in un momento di intimità), ma è solo un’illusione. Quando si deciderà a conoscere personalmente Nicole, avrà un’inattesa sorpresa. L’esordio alla regia di Kyle Patrick Alvarez, ispirato all’articolo “What are you wearing?” di Davy Rothbart pubblicato sulla rivista “GQ” nell'agosto 2006, è uno spaccato credibile e convincente sull’alienazione dei tempi moderni, sulla persistente difficoltà contemporanea a impegnarsi e a socializzare con gli altri dal vivo, preferendo costruirsi barriere protettive con chi sta intorno per paura di essere feriti, sperando di trovare sollievo e conforto in immaginarie relazioni di pura fantasia (i titoli di testa, non a caso, scorrono sulle copertine di romanzi sentimentali stile Harmony). Davy è molto più a suo agio al telefono con la misteriosa ed intrigante Nicole che non con Samantha, una vecchia amica, ritrovata ad una festa e che manifesta un visibile interesse nei suoi confronti. Solo con Samantha sul divano, Davy, in evidente imbarazzo, la bacia in modo goffo, improvviso e maldestro, come a voler/dover soddisfare immediatamente più un’esigenza e/o un’aspettativa della ragazza che non sua. Ed infatti il proseguo della serata si risolve in un disastroso ed umiliante fallimento. Anche per Nicole, però, si scoprirà, il nascondersi dietro una falsa identità e l’anonimato di un telefono appare l’unico modo per conoscere qualcuno con cui entrare in sintonia. Sostenuto dalla sensibile ed intensa prova del protagonista Brian Geraghty, impegnato in frequenti ed esplicativi primi piani (si veda, per esempio la sequenza in cui il fratello Sean, nel gioco della verità, rivela a Samantha la sua relazione sessuale telefonica), scritto con vivace ed esuberante delicatezza dallo stesso regista, capace di ben calibrare sorriso e sentimenti, romanticismo e un pizzico di suspense, evitando dozzinali cadute alla Apatow, “Easier with practice” è più profondo di quanto possa apparire in superficie, sebbene il colpo di scena finale sia oggettivamente scorretto ma comunque gestito con classe (si vivono sulla pelle il disagio, le insicurezze, il nervosismo, persino la vergogna, dei due protagonisti al bar, in un incontro tra l’assurdo, l’esitante e l’impacciato). Con il suo ritmo lento e pacato, il film di Alvarez certifica l’ormai diffusissima e cronica tendenza a vivere relazioni artificiali, fasulle e disfunzionali che poi producono nella realtà effetti castranti, deleteri ed inibenti e si chiude su un abbraccio spontaneo, liberatorio e commovente, capace forse di aprire nuove prospettive di vita a Davy, facendogli superare blocchi, ansie e timori, rendendolo finalmente consapevole che, dopo tutto, in fondo è davvero più facile con la pratica. Basta volerlo e mettersi alla prova. Intelligente e onesto, a tratti sa anche essere crudele nel suo brillante sarcasmo. Cinema indipendente al 100%, forse a tratti un po’ dimesso e ripetitivo, ma con una sua anima, qualcosa da dire ed un protagonista che suscita tenerezza e simpatia, grazie e/o nonostante le sue paturnie, difficoltà ed incertezze. Il regista affronterà nuovamente nel successivo “C.O.G.” lo smarrimento sentimentale e esistenziale di un giovane ventenne ma con risultati più paludati, ovvi ed irritanti.
Voto: 7
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