Regia di Lance Daly vedi scheda film
Non è proprio una vigilia di Natale come uno si aspetterebbe di passare quella per Kylie (Kelli O’Neill) e Dylan (Shane Curry), due tredicenni che vivono in un paese alla periferia di Dublino. I due sono molti amici, legati da una complicità stretta in nome del comune disagio che vivono all’interno delle rispettive famiglie. La ragazzina si sente incompresa, la madre (Cathy Malone) sta sempre in casa ma è come se non esistesse, preoccupata solo di fargli fare da babysitter alla sorella più piccola, mentre la sorella (Stephanie Kelly) più grande gli urla sempre cose addosso. Dylan, invece, vive un rapporto molto conflittuale con il padre (Paul Roe), soprattutto da quando, due anni prima e per lo stesso motivo, il suo fratello più grande decise di scappare via di casa per non tornarci più. Un giorno, dopo l’ennesima lite col padre, Dylan decide di fare come il fratello. Kylie non si lascia scappare l’occasione per seguirlo e così i due si dirigono verso Dublino con la speranza di trovare questo fratello “coraggioso”. Avvolto nello spirito musicale di Bob Dylan, i due ragazzi vagano per le strade della capitale irlandese alternando incontri carichi di umanità ad altri molto pericolosi.
Ci sono film dalla consistenza minuta che quando li guardi ti lasciano dentro una fresca sensazione di piacere. Sono quelli che nascono per rimanere “piccole” opere di appendice ma che poi si confrontano con i grandi temi del mondo con l'occhio sincero della semplicità. Un caso emblematico è rappresentato da “Kisses” di Lance Daly, un film irlandese che di veramente piccolo ha solo l'età dei suoi giovanissimi protagonisti, perché poi sa insinuarsi senza soggezione di sorta nelle disfunzioni sentimentali di due famiglie per mostrare giusto qualche motivo del perché Kylie e Dylan cercano altrove un po’ di meritata beatitudine. Tutta la narrazione si concentra durante i giorni di Natale, ma l’aria di festa, piuttosto che predisporre gli animi a ricercare momenti di pacifica convivenza, è vissuta dai due ragazzi come il momento esatto per agire di contrasto è fuggire lontano da chi non li fa stare bene.
Ciò che va detto subito è che la forza stilistica del film sta nel fatto che è interamente girato ad altezza ragazzo, sia con riferimento allo spirito libertario che aleggia lungo tutta la narrazione e che nei due piccoli amici trova un valido motivo per rivitalizzarsi, sia perché è dal loro esclusivo punto di vista che cogliamo il desiderio di distaccarsi dall’umoralità schizoide dei rispettivi familiari. Kylie e Dylan hanno imparato a loro spese ad agire presto e subito e la fuga con direzione Dublino nasce dal preferire la voce del proprio istinto piuttosto che continuare a nascondersi dalle intemperanze dei genitori (la ragazza sotto il letto, il ragazzo dentro una botola ricavata in una parete di casa).
A ben vedere, la ricerca del fratello di Dylan rappresenta più un valore spirituale che uno scopo realizzabile. Questo fratello che rimane sempre fuori campo, è la dimostrazione che la leggerezza del vagare verso l'ignoto rappresenta una soluzione possibile rispetto al convivere forzatamente sotto l'ombra castratrice dell'autorità genitoriale. Questo aspetto centrale del film viene contrappuntato dalla scelta stilistica di differenziare cromaticamente i due momenti caratterizzanti del film : il bianco e nero (tipicamente indie) viene usato quando i due ragazzi sono a stretto contatto con le asperità dei loro ambienti domestici ; l’uso di colori sempre meno freddi, invece, quando più si addentrano dentro il cuore di Dublino e all'aria sognante che sorregge il loro cammino fa da contrasto la realtà tutt'altro che felice che alberga soprattutto nei sobborghi.
Kylie e Dylan vagano per la capitale irlandese con la spensieratezza tipica di chi prende come un gioco da vivere all'istante ogni circostanza gli capiti di vivere. Ma se il giorno la città è complice, tanto della loro voglia di calore umano, quanto della speranza di ritrovare il fratello di Dylan, la Dublino di notte presenta tanti di quei pericoli per la loro stessa vita da ricordargli quando sarebbe più normale, in particolar modo nella notte di Natale, se stessero al sicuro nelle proprie abitazioni. Ma è proprio questa “normalità violentata” dalla protervia dei genitori a farsi specchio dello scarto esistente tra la voglia di far pratica della comprensione umana e il tentativo fattosi concreto di trovarla nei rapporti occasionali con dei perfetti sconosciuti. Le strade diventano quindi la loro nuova casa, tra il brulichio vociante delle persone, le vetrine che promettono gioie e divertimenti e gli angoli bui che nascondono tranelli. Vi rimangono giusto il tempo per constatare che “non esiste il diavolo, solo le persone”, che queste possono essere buone o cattive, fornire degli aiuti disinteressati o farsi beffa della carità umana. Così come intuire che la musica di Bob Dylan può diventare la colonna sonora di una vita per chiunque si rapporti con il mondo cercando di coglierne la poetica e misteriosa complessità.
In definitiva, “Kisses” di Lance Daly è un buon film, agile e profondo allo stesso tempo, retto sulla sorprendente bravura dei due giovani protagonisti. Fra di loro inizia un'amicizia destinata a durare per sempre, suggellata da un bacio che non ha nulla di peccaminoso ma che sembra solo voler essere il tentativo più diretto possibile per scambiarsi quanto hanno di più caloroso nel reciproco affetto. Come mostra il finale del film, quando i due vengono riportati a casa dalla polizia e i loro occhi si cercano come per suggellare la loro unione nel comune disinteresse per le preoccupazioni delle rispettive famiglie. Da sottolineare il gustoso cameo di Stephen Rea in versione spiccatamente dylaniana. Vivamente consigliato.
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