Regia di Chang-dong Lee vedi scheda film
Poetry è un film sud-coreano del 2010; scritto e diretto da Lee Chang-dong (solo cinque film all'attivo ma già dall'esordio è considerato il padre dell'ultima new wave coreana, autore nel vero e più profondo senso del termine); vincitore al 63° Festival di Cannes del Prix Du Scenario.
Già dal suo esordio nell'ormai lontano 1997 (Green Fish) Lee Chang-dong ha creato una sua particolare ed originale poetica, presente in tutte le sue opere, compreso questo Poetry.
Per prima cosa l'autore utilizza il cinema come messaggio politico e didattico (non a caso è stato insegnante di letteratura locale e ministro della cultura), atto a denunciare senza compromessi le storture dell nuova Corea democratica; ad esempio nel film in esame un detective per aver denunciato colleghi corrotti è stato degratato invece che premiato, oppure un gruppo di genitori non provano nè vergogna nè dolore per le atrocità commesse dai loro figli, anzi puntano subito a corrompere tutti con vagonate di soldi (critica al capitalismo feroce della nuova Corea, elemento centrale per molti registi locali).
Tra i temi principali cari al regista troviamo dei protagonisti solitari, senza famiglia; la signora Mi-ja non menzione neppure una volta il marito (morto, scomparso, divorziato?), stesso identico discorso per sua figlia: la giovane vive lontano da casa affidando alla madre un figlio irrispettoso e non solo.
Mi-Ja (l'anziana protagonista) si sente sola e per questo motivo decide di iscriversi in un club di poesia (molti soggetti principali del cinema di Lee Chang-dong optano per questa scelta).
Un altro aspetto comune in tutta la filmografia di Lee Chang-dong che si collega con la solitudine è il mezzo di trasporto che può essere il treno oppure il bus; tutti i suoi protagonisti viaggiano da soli e una volta giunti a destinazione non vengono accolti con clamore dai famigliari/amici bensì rimangono soli con se stessi.
Continuando con l'analisi è utile ricordare come il moderno cinema coreano sia caratterizzato dalla rappresentazione, molte volte in modo assai brutale, della violenza; tema che ritroviamo anche nella poetica di Lee Chang-dong ma con una messa in scena diversa: fuori campo ed ellissi, tuttavia la brutalità della violenza (in questo caso stupro) è ben percepibile oltre ad essere il motore della vicenda.
Per quanto riguarda la regia l'autore opta per uno stile "semplice" ed elegante, caratterizzato da inquadrature fisse e pochi movimenti di macchina utili a seguire esclusivamente la protagonista ed il tutto si alterna a campi lunghi atti ad evidenziare la bellezza della natura oppure l'emarginazione di Mi-ja.
Film poetico di un grande autore (unica pecca è forse rappresentata dalla lunghezza dell'opera, 139 minuti sono molti).
Da recuperare.
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