Regia di Pablo Trapero vedi scheda film
In Argentina, gli incidenti stradali sono fra le prime cause di morte. Gli avvoltoi, i "caranchi" del titolo, sono figure losche, malavitose, che piombano sui luoghi dei sinistri e con finta misericordia si offrono di dare supporto legale a chi non ne ha. Povera gente, spesso, a cui finiranno, se tutto va bene, solo le briciole di eventuali risarcimenti. Pablo Trapero, uno dei grandi cineasti sudamericani di oggi, 45 enne, racconta la vicenda di uno di questi, di un "carancho", superbamente interpretato da Ricardo Darín, per me il miglior attore del Sudamerica, che, sulla via di un riscatto etico e personale, incontra una giovane infermiera, la stupenda Martina Gusman, con cui, oltre a trovare l'amore, cercherà di completare il suo affrancamento dalla sordida umanità che si muove fuori, dentro e attorno ai pronto soccorso degli ospedali. "Carancho" è un film solido, come nella migliore tradizione di Trapero, di bell'impegno civile, moderno senza dimenticare il cinema classico, che ha sicuramente una prima parte difficoltosa, soprattutto nel comprendere le meccaniche entro cui si muovono questi veri e propri avvoltoi, ma che che ha, viceversa, una seconda parte bellissima, tesa, forte, dove l'alchimia fra i due attori esplode letteralmente. L'intensità degli sguardi, la forza della recitazione e, finalmente, il chiarirsi della vicenda, accompagnano il film a un finale forse un po' discutibile, ma efficace. E' il Cinema sudamericano degli anni zero, che ancora una volta ci dimostra la sua vitalità, dopo anni in cui le pellicole, da laggiù, arrivavano col contagocce. Qui si respira in grande. Questo è Cinema importante.
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