Regia di Michelangelo Frammartino vedi scheda film
Dopo aver visto e recensito di recente "Il buco", ancora proiettato nelle sale, mi sono incuriosito sul cinema di Frammartino e ho visto anche il suo secondo film "Le quattro volte", uscito una decina di anni fa e molto apprezzato dalla critica internazionale, con reazioni assai positive alla Quinzaine al festival di Cannes e alcuni critici che hanno gridato apertamente al capolavoro. Innanzitutto bisogna premettere che Frammartino è fedelissimo a una sua forma di cinema estremamente personale che non è fiction ma neppure documentario puro, che ripropone ne "Il buco" e sono convinto sia presente immutata anche nel suo esordio "Il dono". É un cinema sperimentale, fieramente indipendente e anticommerciale, un cinema dove l'immagine e il sonoro hanno un fortissimo risalto, dove non c'è trama ma solo labili piste narrative che in questo caso hanno come tema la coesistenza e la compenetrazione fra i quattro stati dell'esistenza che sono l'umano, l'animale, il vegetale e il minerale. Il regista procede per quadri minuziosamente predisposti, tutti ambientati in un paesino montuoso calabrese che dovrebbe essere quello dove sono nati i suoi genitori (Caulonia), raccontandoci fra l'altro gli ultimi giorni di vita di un pastore di capre che cerca di curarsi con la polvere raccolta in Chiesa, una processione del Venerdì Santo che viene interrotta da un cagnolino dispettoso, un albero maestoso che viene segato e viene prima utilizzato come albero della cuccagna, poi come legname che sarà trasformato in carbone. Parecchi minuti sono dedicati al pascolo delle capre e in particolare ad un capretto pauroso che si smarrisce dal gregge. La qualità delle immagini è decisamente eccellente, con piani sequenza che spesso sono veri pezzi di bravura, in cui il regista ha dovuto dirigere con accortezza la sua troupe tecnica, le comparse e gli animali, presumibilmente guidati da qualche esperto del settore. Il film è difficile ed esigente e metterà fuori strada chi si aspetta qualcosa di più tradizionale; tuttavia mi sembra ingiusto accusarlo di essere noioso, perché nelle immagini c'è sempre un movimento interno che richiede di essere seguito dallo spettatore, anche compiendo uno sforzo che nei film commerciali ovviamente non è richiesto. Nel complesso l'opera é compatta, si apre a diverse letture anche di matrice filosofico/spirituale, ha meriti figurativi indubbi e una ricchissima tessitura sonora. Si può giustificare l'entusiasmo di chi ha parlato di capolavoro? In ogni caso una scommessa azzardata, certamente vinta.
Voto 9/10
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