Regia di Michelangelo Frammartino vedi scheda film
Quattro volte, tre rinascite: l'uomo nell'animale; l'animale nell'albero; l'albero in cenere. Cenere eri (la prima scena, il battitore di carbone) e cenere ritornerai (il fumo dal camino di una casa - ogni volta la stessa, sempre, perentoriamente la stessa - di un paesino sulle montagne calabresi). In un film muto il racconto deve snodarsi, per forza di cosa, attraverso la forza delle immagini: io non ho trovato nessuna delle sequenze di questo film all'altezza di questo compito. Non c'è poesia, non c'è spessore, c'è solo un segugio di luce pronto ad arraffare il naturale per inserirlo nei ranghi della sua poetica fasulla. Appostato nella sua capanna il cacciatore spara alle prede (le inquadrature) e poi le appende allo spiedo, uno dopo l'altra, come trofei, costruendovi sopra il suo credo. Inventore di un linguaggio cinematografico innovativo, denso, brumoso ma dal quale mi dissocio, rumorosamente. Quest'uomo non ha nessun talento.
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