Regia di Jorge Michel Grau vedi scheda film
Siamo quello che siamo, e cioè: cannibali. In questo horror, al raccapriccio si sostituisce lo sconcerto per una depravazione familiare vissuta nella più completa normalità: un’ordinaria amministrazione che si trasforma in dramma solo con la morte del padre, capoclan e responsabile del rito sanguinoso intorno a cui, ad intervalli regolari, si radunano lui, la moglie ed i loro tre figli adolescenti. Solo allora, col venir meno della figura di riferimento, l’abominevole tradizione dell’omicidio a scopo di nutrimento entra in crisi, a causa dei problemi relazionali ed organizzativi derivanti dall’improvviso vuoto di potere. In questo suo primo lungometraggio, Jorge Grau traccia, con un realismo un po’ soffuso e incerto, tipico della nouvelle vague dell’America Latina, un ritratto, intimo e spietato, dell’inferno della diversità: il terribile segreto che cova tra le pareti domestiche è il sinistro rivestimento di una nicchia oscura, in cui il mondo esterno entra solo per essere fatto a pezzi e scomparire. La feroce autarchia della sfera privata, che diventa il tritacarne dei valori della società, è la degenerazione più insidiosa dell’era moderna, in cui il benessere e l’individualismo svuotano le piazze per riempire i complessi residenziali, garantendo a ciascuno un uguale diritto ad essere invisibile, e a coltivare i propri vizi in autonomia e tranquillità. Fuori si va solo per cacciare, ossia per strappare alla giungla metropolitana quelle risorse che fanno ingrassare noi e i nostri cari. Questo cinismo della civiltà è tradotto, nel film, in un maledettismo primitivo, lucidamente accettato come un’ineludibile condizione umana, contro cui la legge e la giustizia nulla possono, perché è fondata su quell’atavica regola di vita – o meglio di sopravvivenza – che impone a ciascuno di mangiare prima di essere mangiato.
Film selezionato per il Festival di Cannes 2010, e inteso dall’autore come omaggio al Guillermo del Toro di Cronos.
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