Regia di Jorge Michel Grau vedi scheda film
Prima di “We are what we are”, ad oggi a mio avviso il migliore dei quattro film interessanti di un regista già quasi cult come Jim Mickle, c'è stato questo messicano dal titolo italianizzato che suona saggio ed ironico, pertinente e macabro.
E' davvero singolare analizzare l'originale e l'istant remake più conosciuto e famoso del primo: soprattutto per quanto sono diversi e speculari uno dall'altro pur raccontando sostanzialmente la stessa storia: le difficoltà pratiche e psicologiche di una famiglia di cannibali messa a dura prova quando un virus uccide uno dei membri più rappresentativi della stessa, minacciando o mettendo a repentaglio le possibilità di sopravvivere dei sopravvissuti, le possibilità di approvvigionamento e di prosecuzione del “rito” che permette al gruppo la sopravvivenza.
Differenti e speculari questi due horror, entrambi molto belli ma eterogenei, frutto di sensibilità e punti di vista differenti che li rendono interessanti e profondi in tonalità completamente eterogenee.
La città, il cemento dei viadotti, i centri commerciali asettici e gelidi, i vicoli malfamati e sporchi di questo originale diventano la campagna e l'ambiente agreste, la semplicità e la spontaneità della piccola comunità nel film di Mickle; il capofamiglia maschio che muore intossicato da una misteriosa malattia viene sostituito dal decesso, con le medesime modalità, della madre e moglie della famiglia del remake americano; una famiglia composta da due maschi grandi ed una sorella minore in questo film, che diventano due sorelle grandi ed un bimbo piccolo nel secondo e più recente rifacimento.
Ed ancora l'omosessualità latente del ragazzo più grande che matura, nonostante una debolezza caratteriale di fondo, la consapevolezza di essere l'unico che può e deve proseguire l'attività di procacciamento di materiale umano per sfamare i propri cari; o la cura che il remake di Mickle adopera per parlarci del rito, della cura necessaria affinché venga praticato, della storicità che lo caratterizza sin dalla notte dei tempi rendendo immortali ma anche ad esso strettamente dipendenti tutti coloro ne subiscono gli effetti: circostanza quest'ultima che in questo film viene solo trattata per vaghi accenni utili unicamente ad introdurre qualche scena truculenta da horror-macelleria.
Grau e Mickle hanno due teste, due stili, due personalità spiccate in entrambi i casi e traducono ognuno secondo la propria sensibilità una vicenda che in entrambi i casi riesce ad essere molto coinvolgente nel suo terribile inevitabile percorso di disgregazione verso un tragico e per fortuna inevitabile epilogo.
Un confronto che, visto cronologicamente in ordine inverso nel mio caso, pone a pari merito, a mio giudizio, due pellicole davvero molto eterogenee una dall'altra, e proprio per questo così interessanti da raffrontare.
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