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Le vagabond

Regia di Avishai Sivan vedi scheda film

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La recensione su Le vagabond

di OGM
8 stelle

Isaac è ha’meshotet, l’”errante”. Si sposta in continuazione, portandosi dietro la sua misteriosa malattia. Un male che è circondato dal vuoto: intorno a lui l’affetto dei suoi genitori si aggrappa alla routine dei gesti quotidiani, e intanto  si disperde nel dubbio e nell’angoscia. Così quel ragazzo rimane solo, a camminare trascinando i piedi per la debolezza, senza sapere bene dove andare. Bere tanta acqua è l’unico rimedio che i medici gli indicare: gli consigliano di affidarsi ad una sostanza trasparente come il senso d’inutilità che ti coglie quando non sai più chi sei. Basta una domanda priva di risposta per ritrovarsi isolati dal mondo, prigionieri di un disagio incomunicabile, e del tutto privo di prospettive. Isaac è figlio del rabbino, ma dell’ortodossia religiosa, in famiglia e nella comunità della sinagoga, è rimasta solo la sterile adesione agli  antichi riti liturgici ed alle ancestrali usanze riguardanti la vita sociale. Al di sotto dell’apparenza rigorista, cova, come nuova forma di ipocrisia, la spinta verso le mode del tempo. Nell’ambiente di Isaac, l’ebraismo è poco più che un costume di scena, uno spettro indistinto aleggiante in un non-luogo, sospeso tra un passato oscuro ed un futuro incerto. Il meccanismo della trasmissione orale si è inceppato: non c’è più nulla che possa essere fruttuosamente tramandato, se i genitori hanno molto da nascondere, e quasi niente di cui parlare ai figli.  Da suo padre, Isaac ha ricevuto soltanto un paio di scarpe troppo strette, che gli fanno male ai piedi. Ed il sospetto che quell’uomo, prima di convertirsi, di sposarsi e di generarlo, si sia macchiato di crimini inconfessabili. È probabilmente il rimorso a procurargli quegli incubi ricorrenti, che spesso lo fanno urlare nel sonno. E ci sarà certamente un motivo grave, se lui e la moglie, violando la legge di Dio, hanno deciso di non concepire altri figli. D’altronde la trasgressione edonistica, simboleggiata dall’uso dei profilattici, è entrata ovunque, in casa sua, nella cerchia dei suoi amici, nelle strade della sua città.  E a lui non rimane altro che guardarsi in giro, cercando invano di capirci qualcosa. L’universo profetico della Terra Promessa  sembra essersi raffreddato intorno ai suoi squallidi segreti, che ne hanno per sempre infranto la sacralità.  Tutto risulta immobile, irrigidito in una falsa sobrietà che coincide con la tacita rinuncia ai valori della tradizione, sgraditi, sorpassati e fondamentalmente inefficaci contro la dilagante crisi d’identità. Il volto d'Israele è irriconoscibile: una volta persi l’alone mistico e la dignità di biblica memoria, nulla distingue più Gerusalemme dai milioni di altri posti anonimi, sfigurati dalla modernità, dal relativismo, e dalla mancanza di ideali. La realtà, attraverso la quale Isaac vaga senza meta, è come quella prostituta macilenta e barcollante, ubriaca e molto miope, che il ragazzo, una notte, incontra per caso all’imbocco di un vicolo. Quella donna, la cui vita si svolge fuori dalle regole,  sembra giovane e libera, ma anche tanto stanca e spaesata, non più in grado di reggersi sulla proprie gambe e di difendere la propria incolumità. A quella ragazza tocca subire le aggressioni di coloro che, come Isaac, cercano nella violenza una conferma che li riscatti dall’insicurezza psicologica e dal disorientamento morale. Isaac reagisce all’arida indifferenza del mondo inventandosi un principio guida, estrapolato dal contesto veterotestamentario, secondo cui il vero uomo è colui il cui seme è capace di fecondare un grembo. Ed è anche colui che ha il coraggio di ammettere le proprie colpe e pagarne le conseguenze: l’esatta antitesi della figura paterna, che, ai suoi occhi, ha soltanto dato un cattivo esempio. Questo film è la cronaca di un esperimento di vita, che tasta il terreno del proibito per verificare se anche in quella regione selvaggia ed incolta, sia possibile – nonostante tutto -  arrivare a cogliere la Verità. Per tentare di realizzare quel sogno Isaac non ha alternative: la giungla del peccato lo cinge d’assedio, sbarrandogli la visuale verso il Cielo. Così, mentre si lascia avvinghiare dalle tenebre, quel ragazzo cresce, rendendosi conto dell’assurdità della sua personale utopia e scoprendosi, infine, banalmente uguale a tutti gli altri. 

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