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C'è chi dice no

Regia di Giambattista Avellino vedi scheda film

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La recensione su C'è chi dice no

di mc 5
10 stelle

La recensione di questo film ha avuto un antefatto che ne ha in qualche modo influenzato l'impronta. Il discorso che mi preme fare allarga l'orizzonte al panorama generale della nuova commedia italiana, questa sorta di fenomeno su cui stanno indagando le pagine degli spettacoli dei quotidiani nazionali. Cos'è accaduto? Semplicemente che, dopo il boom di Zalone è stato un susseguirsi di film comici italiani che hanno dominato il box office sancendo di fatto una rinascita (per lo meno economica) del cinema italiano. Questi, in sintesi, i fatti. La realtà però, come spesso accade, racchiude letture e punti di vista diversi. Nel mio piccolo, tenterò di esprimere la mia opinione. Io credo che i Zalone, ma anche i Brizzi, i Veronesi e i Massimiliano Bruno, abbiano vinto perchè hanno saputo lisciare il pubblico (come si usa dire) nel verso del pelo, cioè sono stati furbi. E hanno oltretutto trovato la surreale complicità della critica, in molti casi anche quella più a sinistra, quella solitamente spocchiosa. Lasciando da parte il fenomeno Zalone, che per ora è stato solo una gonfiatissima bolla di sapone, io ritengo che il "teatrino" dell'Italia dei Brizzi e dei Veronesi sia penoso nel suo rincorrere la vecchia commedia all'italiana, utilizzando armi spuntate e strumenti astuti ma inconsistenti. Parliamo infatti di un cinema che fa ricorso a sceneggiature furbette ma esilissime che trattano di tematiche ruffianissime (genitori VS figli, maschi VS femmine...). E avvalendosi di comici resi popolari dalla tv e dunque di scontato impatto. E questo tipo di operazioni parte già col piede giusto, proponendo negli atri delle multisale i soliti cartelloni dove vedi tutti riuniti insieme i soliti volti ammiccanti, da Ficarra & Picone alla Cortellesi, da Bisio a Solfrizzi, dalla Littizzetto a Papaleo. Tutti assieme appassionatamente, a solleticare l'italiota medio, cioè il pirla che si sente intelligente solo perchè guarda Zelig (programma che peraltro si è ridotto ad un imbarazzante inseguimento di tormentoni). Tristemente paradigmatico il caso del trionfo al botteghino di "Nessuno mi può giudicare", penosa riproposizione di una antologia di ipocrisie buoniste filtrate attraverso una vena umoristica che accarezza (come si diceva prima) lo spettatore "dal verso del pelo". In altri termini una sgangherata fiera dell'ovvio, trasudante luoghi comuni espressi peraltro in un dilagante accento romanesco che non fa che buttare in vacca ancor di più ogni straccio di idea. Ho preferito nemmeno recensire il film, ritenendo non ne valesse la pena. Di cosa avrei dovuto raccontare? Di un moralismo bacchettone che unisce escort da barzelletta e proletari precari in un patetico circo dell'ovvio? No, sarebbe stato troppo imbarazzante parlare di questo universo dove perfino i ruoli più disgustosamente razzisti come il personaggio di Papaleo devono per forza esser simpatici. O dove una mignotta di lusso, dopo avere frustato un "cinepanettonesco" cliente sadomaso, corre ad abbracciare i genitori anziani e tanto dolci. Siccome sui quotidiani avevo visto catalogare sotto tale "andazzo" anche questo "C'è chi dice no", ho voluto lanciare una sfida a me stesso e ho scelto di affrontarne la visione. Incredibile a dirsi, ma ho visto un bel film, gradevolissimo, pungente, e che non possiede nemmeno un grammo di quel vergognoso ammiccamento che caratterizza le commedie sopra evocate. Un film mosso da un enorme senso della DIGNITA' che pervade ogni sequenza e ogni snodo narrativo; finalmente una cinecommedia di cui non ci si deve vergognare, totalmente priva di ammiccamenti verso i due lati più  commercialmente appetibili del pubblico: la volgarità e il buonismo. Proprio un bel film, che prende le mosse da una base reale, quella di tre giovani precari che vedono quotidianamente calpestata la propria dignità da una moltitudine di furbi, di arraffoni, di maneggioni che non conoscono la vergogna. Costoro si muovono a  diversi livelli: ci sono i baroni, cioè le Autorità riconosciute che da tempo immemore fanno il bello e il cattivo tempo nelle Università, negli ospedali e nei giornali. Poi ci  sono i servi compiacenti che li supportano traendone lauti favori in termini di carriera. E infine ci sono coloro che iniziano, da giovani virgulti, a muovere i primi passi andando però già a colpo sicuro, protetti e coccolati da chi punta su di loro. I tre protagonisti, giunti ben oltre il grado massimo di esasperazione, decidono di unire le loro forze, affermando una vigorosa scelta di "DIRE NO" a questo sistema consolidato, predisponendo un piano teso a demolirne i vari livelli di complicità. Attraverso una struttura segreta denominata "I Pirati", i tre giovani ci provano a cambiare le cose, muovendosi nell'ombra, come delle "primule rosse", come degli "Zorro" anonimi e sotterranei. Ce la faranno? Riusciranno ad incidere sul sistema? O torneranno a casa delusi e bastonati? Questo non è lecito svelarlo, per non compromettere il gusto della visione. L'opera mostra un entusiasmo sincero, viscerale e contagioso che rimbalza dallo schermo alla platea. Ed è proprio questo il singolare corto circuito che si concretizza nel film: congiungere l'impegno civile e una recitazione condotta sui toni della commedia divertente. Io credo che questo più che un film d'attori sia un film di sceneggiatura e di regìa. Nessuno nega il valore dei tre interpreti principali, ma qui quello che prevale è un'idea, un concetto e uno stile nel rappresentarli. E questo va riconosciuto alla mano sicura del regista Giambattista Avellino, ma soprattutto ad uno scrittore e sceneggiatore di vaglia come Fabio Bonifacci, qui al meglio del proprio estro creativo. Egli ha scritto una storia che palpita di ansia di verità e ha fornito carne, sangue e cervello a dei personaggi che ci appaiono vivi e credibili. Bisognerebbe poi spendere una parola su un singolare epilogo (amaro? irrisolto?) di cui preferisco in ogni caso sottoporre il giudizio a coloro di voi che vedranno il film. Tutto perfetto, dunque, in questa pellicola? Qualche dubbio si insinua riguardo agli attori, basato però più su vaghe sensazioni che su dati di fatto. La mia percezione è che l'affiatamento fra i tre (pur bravissimi) interpreti non sia compiuto al 100% e qui forse gioca la sua parte un problemino che qualcuno ha rilevato. E' chiaro infatti che sia la Cortellesi che Argentero hanno dovuto fare un corso accelerato di accento fiorentino con un risultato che io definirei appena sufficiente. Ovvio che Ruffini (livornese) se l'è giocata molto meglio. A parte questo dettaglio, ho trovato Argentero molto migliorato, finalmente sta imparando una cosa fondamentale per un attore: interagire coi colleghi senza incertezze. Capitolo a parte per Ruffini. Chi come me lo segue da anni, sa che Paolo non è solo un attore di talento, ma anche un sincero appassionato di cinema. Aspetto questo che egli ha dimostrato in almeno due occasioni: la conduzione di tre edizioni dello "Stracult" di Mario Giusti e uno spettacolo live imperniato proprio sul cinema che qualche anno fa andò in tour per club e teatri. E voglio aggiungere una cosa: Paolo possiede una chiave di recitazione spesso volta al "bastardo" (o se preferite "beffardo") che mi richiama nella sua vena estrosamente cattiva certi "mostri" di Tognazzi e Sordi. Quanto al resto del cast, un Giorgio Albertazzi e un Citran senz'altro formidabili. Chiara Francini deliziosa. E una Myriam Catania così bella che confesso me ne sono un pò innamorato. E vorrei concludere puntando idealmente l'occhio della macchina da presa su una irresistibile "strana coppia di sbirri": i carabinieri Saguatti e Frangipane, detectives cialtroni impersonati da due volti che ogni cinefilo conosce molto bene...Edoardo "Ovosodo" Gabbriellini e (direttamente da Paz!) il clamoroso Max Mazzotta, un uomo che non ha una faccia ma una straordinaria maschera naturale. Finalmente una commedia italiana attuale. Vivace. Vivida. Viva.
Voto: 9/10

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