Regia di Elia Suleiman vedi scheda film
Non si può ragazzi. Con tutta la buona volontà. Con tutto il rispetto per la questione palestinese, che esiste e che è grave, non si possono vedere certi film e gridare al miracolo, al cinema cesellato, evocando il gotha del passato. C’è materiale per un ottimo corto di sette/otto minuti, belle intuizioni, impatti poetici spiazzanti a volte. Ma che non si vada in giro a spacciarlo per un film, non si tenti neanche l’operazione.
Si tenga i suoi nastri, il buon Suleiman, i suoi diari, i suoi ricordi, se li monti in superotto, se li tagli in camera oscura, se li ammiri in cucina coi parenti, i nipotini ed i vicini di casa (quelli si), ma non ce sbomballi di scenette impapocchiate, di dialoghi lisi, di camere fisse, di riquadri sghembi, di silenzi solipsistici, di metafore incartate, di parentesi drammatiche facili facili attinte a mezzo altro mondo cinematografico, di oggi le comiche col morto finale a “significarci” l’assurdo della guerra e dell’odio. Voleva ridicolizzare gli israeliani? Basta un telegiornale per questo. Voleva trasmetterci l’angoscia il regista? Ci è riuscito appieno, comunque, e questo dobbiamo riconoscerglielo. L’angoscia del cinema a proprio uso e consumo da esportare a tutti costi ad ogni latitudine. Ed i nostri critici intellettualoidi a godere nell’onanismo mentale…
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