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Dalla vita in poi

Regia di Gianfrancesco Lazzotti vedi scheda film

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Paul Hackett

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La recensione su Dalla vita in poi

di Paul Hackett
4 stelle

Costretta dalla distrofia muscolare su una sedia a rotelle ad attendere l'inevitabile, la giovane e graziosa Katia non ci pensa minimamente a piangersi addosso e s'innamora dell'omicida ergastolano con il quale corrisponde una squinternata amica. Complice una ferrea determinazione e una insostenibile logorrea, la ragazza riuscirà a portare avanti il suo sogno d'amore e a conquistare il suo, in principio riottoso, oggetto del desiderio. Mi sono avvicinato alla visione di questo film di Gianfrancesco Lazotti (che io sappia con una "z", quello di FilmTv credo sia un refuso) senza aver letto alcuna recensione e senza sapere esattamente di cosa si trattasse e confesso di essere rimasto abbastanza disorientato, soprattutto dopo una prima parte un po' troppo grottesca per i miei gusti: personaggi decisamente caricaturali, situazioni del tutto improbabili (la protagonista che si fa snocciolare tutto il curriculum vitae di un ergastolano dal direttore del carcere e che, assillando il suddetto con filastrocche e canzoncine, accede ai colloqui con il detenuto, ha letteralmente esilarato mia moglie che, da educatrice penitenziaria, conosce bene la materia, ben diversa nella realtà pratica), dialoghi (volutamente?) sospesi tra l'aulico, l'infantile e il demenziale... insomma, già dopo la prima mezz'ora ci sarebbero, almeno per quanto mi riguarda, tutti gli estremi per una stroncatura netta, rapida e lapidaria. Poi, abbastanza lentamente, si riesce a capire il giochino: i toni surreali della pellicola di Lazotti diventano più intriganti e, tutto sommato, il film va in crescendo, verso un finale piacevolmente delicato e poetico, che rialza leggermente il giudizio iniziale di netta stroncatura fino al classico paio di stelle di una buona mediocrità. Oltre, francamente, non riesco ad andare e trovo decisamente esagerate le lodi conquistate dal film, sia da parte della critica (vari premi al Taormina Film Fest) e sia da parte degli amici che mi hanno preceduto nell'opinarlo (noto peraltro il giudizio positivo di una persona che stimo come Spopola): "Dalla vita in poi" è un'operina anche simpatica, una commediola romantica dai toni surreali e sicuramente un oggetto insolito in un panorama asfittico come quello del cinema italiano dei nostri giorni, ma è anche un filmetto abbastanza inconsistente, un oggettino furbo e presuntuosetto, nato per essere programmaticamente "carino" e per ricevere, pronti e via, le stimmate della pellicola "alternativa" e di culto, ben consapevole che in giro c'è talmente tanta mondezza che basta davvero poco per distinguersi e conquistare una critica affamata di novità che esulino dai soliti schemi nei quali si è sclerotizzato il nostro cinema. Ma esattamente quale sarebbe il senso o il messaggio di una storiella così strampalata? E, soprattutto, siamo sicuri che "Dalla vita in poi" sia tanto "diverso" e lontano dal deprimente panorama dell'italico cinema? Regista di fiction televisive (imperdibili capolavori come "I ragazzi del muretto", "Linda e il brigadiere" o "Le ragazze di Piazza di Spagna"), attori da fiction (Cristiana Capotondi a tratti davvero risibile, Filippo Nigro passabile ma visibilmente poco convinto, Pino Insegno fin troppo caricaturale, Carlo Bucirosso che replica per l'ennesima volta l'unico personaggio del suo repertorio, Nicoletta Romanoff abbastanza forzata ma, inaspettatamente, la migliore del mazzo), estetica, dialoghi e ambientazioni da fiction... esattamente in cosa consisterebbe il valore aggiunto della pellicola di Lazotti rispetto al "cinema che ci gira intorno", di matrice eminentemente televisiva? Un'operina decisamente sopravvalutata: voto mediocre.

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