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The Myth of the American Sleepover

Regia di David Robert Mitchell vedi scheda film

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La recensione su The Myth of the American Sleepover

di mck
7 stelle

Being a Teenager: the Saddest Story Ever Told.

 

 

Finalmente, dopo “It Follows” (2014) e “Under the Silver Lake” (2018), lo sceneggiatore e regista David Robert Mitchell, senza però, al contrario, contagio (e invece analogamente privo, o quasi, di adulti, ma provvisto di una certa simil-identica sospensione a-temporale), in un caso, né, paradossalmente, riciclo della mitopoiesi postmoderno-massimalista, nell’altro, esordisce nel lungometraggio (prima c’era stato “Virgin”, il cortometraggio opera prima in assoluto del 2002) con questo “the Myth of the American SleepOver”, come se “SuperBad” (Mottola, 2007), “Project X” (Nourizadeh, 2012) e “BookSmart” (Wilde, 2019), da una parte, e “Welcome to the DollHouse” (Solondz, 1996), “Violet” (Devos, 2014) e “Ham on Rye” (Taormina, 2019) dall’altra, fossero stati innestati l’uno nell’altro e rimess’in scena in endosimbiosi reciproca da Eric Rohmer. (E no, non tirerei in ballo "American Graffiti".)

 


- I don't want you to buy into all the youthful adventure bullshit.
- Come on. What's wrong with that?
- It's a myth.
- A myth of what?
- Being a teenager. They trick you into giving up your childhood with all these promises of adventure. But once you realize what you lost, it's too late. You can't get it back. 

 


Tra i giovani attori semi-esordienti e ottimamente diretti spiccano Claire Sloma e Amanda Bauer, con, a seguire, Jade e Nikita Ramsey, mentre completano il cast Brett Jacobsen e, in un piccolo ruolo, Amy Seimetz (“Sun Don’t Shine”, “She Dies Tomorrow”).

 


Fotografia di James Laxton (“Tusk”, “Yoga Hosers”, “Moonlight”, “the Underground Railroad”), montaggio Julio C. Perez IV (sodale del regista già da “Virgin”), musiche originali di Kyle Newmaster, e, fra le pre-esistenti, mentre cala la sera, “Elephant Gun” (Beirut), mentre si decide che fare, “Song for a Little Girl I Saw At the Beach” (Balthrop, Alabama), e, mentre scorrono i titoli di coda, “the Saddest Story Ever Told” (the Magnetic Fields).

 


***¾ (****)  

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