Regia di Cheol So Jang vedi scheda film
L’esordio alla regia di Jang (ex aiuto regista di Kim Ki-duk), è un thriller sorprendente, dalle grandi qualità, vivido e difficilmente dimenticabile.
Forse gli amanti dell’horror “puro” dovrebbero astenersi perché, prima di esplodere nel più genuino tripudio grandguignolesco e sanguinosissimo, Bedevilled si prende tutta la prima ora per indagare a fondo le relazioni tra i personaggi (relazioni fatte di soprusi, violenze e connivenze) riuscendo però mirabilmente, nonostante il ritmo pacato, a costruire un clima claustrofobico che toglie il respiro, a creare una tensione montante che solo nell’ultima mezz’ora si risolve, come detto, nell’horror splatter che forse era tutto ciò che la maggior parte degli spettatori si aspettavano da questo film.
Film che, invece, dimostra una complessità di temi e una molteplicità di suggestioni capaci di svecchiare gli ormai logori topoi del revenge movie al femminile e di conferirgli di conseguenza una profondità che lo eleva al di là della semplice opera di genere.
Lo si potrebbe quasi definire un potente atto d’accusa, una fortissima condanna che colpisce con la forza di un pugno allo stomaco, dell’omertà, male endemico che permette alla violenza di prosperare (a tal punto che la violenza stessa finisce per diventare l’unica possibile risposta). Una condanna, si diceva, dell’omertà, dell’egoismo e dell’indifferenza.
Che la scelta di una coprotagonista per la quale non si riesce mai a provare la minima empatia non fa altro che enfatizzare (Hae-won si dimostrerà a più riprese, difatti, non solo egoista [e questo fin da bambina, come si evince dalla scena nella quale lei scappa, lasciando negli impicci quella che dovrebbe essere la sua amica] ma del tutto indifferente alle sofferenze intorno a sé, in quanto non vuole “essere coinvolta”).
Visti e considerati i reiterati e terribili abusi a cui viene sottoposta (e purtroppo non da sola), è inevitabile simpatizzare per lei (come del resto nei migliori film del filone sempre accade) quando finalmente Bok-nam decide di prendere in mano la situazione, anche perché la violenza della prima parte è decisamente più straziante (astenersi, dunque, deboli di cuore) di quella finale, che si potrebbe definire a ragione più scontata e ripetitiva, ma soprattutto meno intollerabile e agghiacciante, anche perché probabilmente nel momento in cui tutto ciò comincia ad accadere nello spettatore si sarà già innescato una sorta di meccanismo di identificazione con la protagonista che lo porta a sperare che riesca a farcela e ad inorridire ogni qualvolta sembra venir sopraffatta (tesissima e per nulla fine a se stessa, tra le tante, la scena con il marito e il coltello, che rende palese, in pochi attimi, tutta la banalità e mediocrità dell’uomo), oltreché a detestare sempre più Hae-won per via delle sue interferenze
(ATTENZIONE, SPOILER: a questo proposito, in parte deludente [ma forse inevitabile] il finale in cui Bok-nam non riesce a portare la sua vendetta fino in fondo, anche se viene esplicitato chiaramente come la coprotagonista non sarà destinata ad altro che ad una vita annegata nel rimorso, perché su di lei graverà per sempre la consapevolezza di ciò che avrebbe potuto fare e ha deciso di non fare, ignorando le supplicanti e disperate richieste d’aiuto FINE SPOILER).
Qualcuno potrà sicuramente definire simili stratagemmi “ricatti emotivi”, che portano immancabilmente a parteggiare per la protagonista, ma ciò che molto probabilmente i diligenti estensori di tali critiche vogliono tentare di nascondere è il fatto che anche con loro hanno funzionato.
E soprattutto ognuno, ogni singolo spettatore e ogni singolo critico, sempre di fronte a tali film, ma in particolare a questo, dovrebbe chiedersi cosa lui o lei avrebbe fatto se si fosse trovato/a in una situazione del genere, se sarebbe riuscito/a a mantenere la calma e la “sanità mentale”, e cercare di rispondersi onestamente.
Certo, bisogna dire chenBedevilled ha i suoi cedimenti qua e là (il maggior punto debole risiede all’inizio in un evento che non viene mai adeguatamente spiegato: ovvero, perché Hae-won, visto che a quanto pare della sua cosiddetta amica non le importa più di tanto e che con l’isola non ha più alcun legame, decide di andare in vacanza proprio lì?), è talvolta un po’ ingenuo e affatto sottile (vedi la fin troppo chiara simbologia della falce e del martello), ma nel complesso si rivela un film pienamente convincente, esasperato e violento ma non per questo mediocre, non molto originale ma un perfetto esempio di riproposizione di qualità, in definitiva una sorpresa che qualunque appassionato non dovrebbe lasciarsi sfuggire.
Ottime le prove degli attori (in particolare Seo Young-hee, che si era già fatta notare nel ruolo di Mi-jin nell’eccellente The Chaser) e bella la fotografia di Kim Gi-tae.
Presentato a Cannes, il film (il cui titolo internazionale significa letteralmente “Tormentata”, mentre quello originale “La storia completa del caso di omicidio di Bok-nam”), è un modesto successo di pubblico in patria, mentre all’estero viene per la gran parte ignorato. Italia compresa, dove purtroppo resta ancora inedito.
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