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Bedevilled

Regia di Cheol So Jang vedi scheda film

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La recensione su Bedevilled

di maurizio73
5 stelle

Ipetrofico thriller-horror insulare improntato al gusto per l'orrido, alla stravagante commistione di registri ed al feroce sarcasmo di vicende al limite dell'involontario macchiettismo, con un'idea di marketing tipicamente regionalistica: piatto misto in salsa coreana da trangugiare in compagnia. Attenti alle indigestioni!

Sospesa dal suo lavoro di front office in un istituto di credito a causa dello stress e di un comportamento aggressivo, la bella Hae-won ne approfitta per fare una visita ad una vecchia amica d'infanzia che vive in un'isoletta sperduta nel sud del Paese. L'idillio del luogo e le premure della sua ospite però, nascondono una squallida realtà di abusi e vessazioni di cui la donna sembra essere da sempre la vittima designata da parte della piccola comunità che la abita. Ma, come si sa, a tutto c'è un limite.

 

locandina

Bedevilled (2010): locandina

 

Sgombrato il campo dal dubbio che l'esordio alla regia dell'aiuto di Kim Ki-Duk possa avere le stesse ambizioni autoriali del maestro coreano, pur conservandone una viscerale furia iconoclasta, si potrebbe tranquillamente annoverare questo ipetrofico thriller-horror insulare come degno rappresentante di una cinematografia autoctona del Terzo Millennio che ha saputo a suo modo rielaborare l'immaginario cinematografico americano, innestandovi quei caratteri distintivi improntati al gusto per l'orrido, alla stravagante commistione di registri ed al feroce sarcasmo di vicende al limite dell'involontario macchiettismo, propri delle produzioni made in Corea. Iniziato con la falsa pista di una nemesi in tutto e per tutto debitrice del Raimi di Drag Me to Hell (bella bancaria under pressure versus arcigna vecchietta in bolletta), la storia fa presto a trasferirsi nel microcosmo involutivo di un bioma insulare nel quale la distanza dal continente ha favorito le degenerazioni omozigotiche di una prole degenere, il preservarsi di una cultura patriarcale di vessazioni sessiste ed un'economia di sussistenza basata sullo sfruttamento dei più deboli. Ascritte queste chicche etno-antropologiche ai meriti di una scrittura cinematografica che sa il fatto suo, resta la cifra di un cinema della prolissità che si spende ne' più nè meno di altri titoli più fortunati (Lady Vendetta, I Saw the Devil, Cold Fish) nel trastullarsi con le morbose contorsioni di una vicenda di violenza domestica dove il limite del tollerabile sembra spostare la sua asticella sempre più in alto (stupro, riduzione in schiavitù, promiscuità, pedofilia, infanticidio,...continuo?), fino all'acme di una intollerabile devastazione morale che reclama la sua giusta dose di ritorsione e di vendetta.
Niente di nuovo insomma, sotto il cielo del sol levante (o almeno delle sue propaggini più marginali e periferiche), compresa la blanda morale di un'aritmetica di compensazioni etiche che tiri le somme di un bilancio finale in cui da una parte stanno la pietà umana e la solidatierità femminile e dall'altra la crudele ostilità o la colpevole ignavia dei suoi protagonisti; netta linea di demarcazione che giustifichi l'accanirsi o meno di una sacrosanta furia vendicatrice che impugna le insanguinate armi bianche della sua rivalsa finale. Se un tale cinema degli accessi dalle nostre parti farebbe ancora ridere a crepapelle, visto con gli occhi (ed il gusto) del pubblico coreano questo grand-guignol di abbrutimento sociale e psicologie borderline, immaginiamo possa indurre allo sgomento o nell'ipotesi più probabile suscitare sentimenti contrastanti, sospesi tra il divertimento slapstick delle scene più cruente al commovente sentimentalismo delle scene più delicate, centrando un'idea di marketing tipicamente regionalistica, alla stregua di quei piatti coreani dove la preparazione contempla ingredienti assortiti e diversissimi ed il buon costume la condivisione di sapori nella convivialità di un desco allargato a quanta più gente possibile. Tecnicamente pure pregevole, si avvale di una splendida fotografia e di uno struggente commento zufolante in cui lo strumento musicale più caro alla pedagogia di tutto il mondo può riservare la sorpresa di un utilizzo tanto originale quanto indesiderabile. La bruna ragazza di campagna Kim Bok-nam, pur ridotta ad un essere subumano e vera incarnazione di un Onryo vivente, rivaleggia in bellezza con il raggiante candore della imborghesita cittadina di Ji Sung-won. Due nomination alla Settimana della Critica al Cannes Film Festival 2010 ed una pletora di altri riconoscienti pubblici. Troppa grazia Sant'Antonio, o qualunque cosa venerino in Corea.


"...poi stì pescatori coreani non potrebbero pescare in alto mare ed impiccarsi con le reti senza andare a importunare le ragazze come te che normalmente sono brave ma travolte dagli eventi non disdegnano di fare la...puttana!"

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