Regia di Doug Liman vedi scheda film
Anche sulle armi di distruzione di massa in Iraq Doug Liman perde la sfida con Paul Greengrass. La sconfitta non è così scottante come nel caso della saga di Jason Bourne, anche perché Fair Game è comunque un esempio di cinema civile dignitoso. Solo che Green Zone è uno dei più allucinati e straordinari film bellici recenti. L’agente della Cia Valerie Plame viene screditata dal governo statunitense dopo un articolo del marito sul “New York Times” che scatena numerose controversie. Tratto da una vicenda realmente accaduta, raccontata anche in due libri (Fair Game e The Politics of Truth), il film appare inizialmente come un thriller politico piuttosto macchinoso che insegue luoghi ed eventi in modo affannoso. Nel momento in cui la dispersione spaziale si esaurisce, la pellicola cresce d’intensità con una claustrofobia che richiama il cinema di Pakula soprattutto nel modo in cui sottolinea l’isolamento della protagonista e la crisi col marito. Inoltre si avverte la continua presenza di ombre fuori campo come in Tutti gli uomini del presidente. Fondamentali comunque Naomi Watts e Sean Penn. Lei è Valerie Plame. Lui è forse oggi l’unica possibile reincarnazione liberal di Robert Redford.
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