Regia di Olivier Masset-Depasse vedi scheda film
Claustrofobico, taggabile anche come "film sul carcere", se i cosiddetti "centri di accoglienza" (ormai diventati di espulsione) non fossero giuridicamente galere, ma ne siano semplicemente i fratellini minori. Istituzioni nuove con cui la modernità deve e dovrà fare sempre di più i conti, conti per ora decisamente in rosso anche (a quanto è dato vedere da questo film) in paesi molto più "civili" del nostro in quanto a organizzazione e strutture come il Belgio. Più dell'algida personalità della brava Coesens, poco supportata da una sceneggiatura arida, asfissiata dalla mdp sempre addosso a inseguirne i primi piani, rimane il senso di ipocrisia della mini-rivolta popolare al momento del suo rimpatrio forzato, società che si risveglia di tanto in tanto e solo per caso, e che resta pacata e dormiente mentre accade tutto il resto (e che resto, lo mostra il film) o quando si tratta di decidere chi e come deve organizzare quale e quanta società. Il film è grigio, non molto appassionante, con una protagonista chiamata nel doppio ruolo di fredda clandestina non collaborativa e di calda disperata madre con un figlio solo, fuori, in una terra che non è sua. La somma algebrica è tutto sommato sufficiente, ma a mio parere non è un film da rimanere troppo impresso nella memoria.
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