Regia di Fabrice Gobert vedi scheda film
A prima vista si ha l'impressione che Fabrice Gobert ,regista di questo finto teen thriller, si sia sparato in loop Elephant di Van Sant.
Se all'inizio Simon Werner a disparu incuriosisce per un groviglio di mistero che sembra ben lontano dall'essere dipanato in 85 minuti scarsi di film, poi quando si moltiplicano i punti di vista e si individuano le intersezioni tra le varie sottotrame, il gioco diventa troppo scoperto e alla fine la scomparsa di tre alunni della stessa classe diventa una sorta di segreto di Pulcinella.
Tutto alla luce del sole.Troppo alla luce del sole.
E allora il gioco è quello di scoprire le piccole sfumature che creano diversità da una versione all'altra, gli apparenti enigmi( che poi tali non sono) vengono evidenziati in tutta la loro impacciata banalità.
Appare chiaro che a Gobert non interessi tanto l'enigma quanto il magma incandescente che si nasconde tra i vari alunni: un ribollire di sessualità repressa, amori non corrisposti, invidie incrociate, relazioni proibite e voci messe in giro ad arte giusto per gettare fango.
Non c'è nessuno mistero che rimane alla fine della visione, scopriamo sia perchè è sparito Simon Werner sia perchè sono spariti due suoi compagni di classe.
E se l'intento era quello di fornire uno spaccato sociologico di quel microcosmo che è quell'età che dalla fine dell'adolescenza prepara all'età adulta, beh allora proprio non ci siamo.
Simon( il suo naturalmente è l'ultimo punto di vista), Jeremie, Alice e Jean Baptiste dalla loro prospettiva sono gli interpreti malfermi di una comunità vittima di voci maligne e interpretazioni fuorivianti in cui le dicerie si propagano alla velocità della luce. Le loro storie differiscono per piccoli particolari(che sono l'unica cosa che ravviva l'interesse) che danno la misura della loro soggettività.
La giornata qualunque di un liceo della periferia parigina negli anni '90 diventa così un film qualunque nelle mani di un regista che non osa nemmeno per un attimo allontanarsi dal sentiero già tracciato da Van Sant.
La piatta messa in scena di Gobert che cerca di smouovere le acque limacciose del repetita non juvant con qualche falsa pista qua e là, non valorizza nemmeno le brillanti scelte del casting:su tutti una visione, che ha lo sguardo affilato e i passi nervosi di Ana Girardot.
Inopinato il cambio di titolo.
regia piatta
insomma
bellezza notevole e anche bravura
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