Regia di Manoel de Oliveira vedi scheda film
Isaac (Ricardo Trepa) è un giovane fotografo che alloggia nella piccola pensione della signora Justina (Adelaide Teixeira). Fotografa ogni cosa lo circondi, andando soprattutto alla ricerca di cose insolite e di pratiche lavorative in vie di estinzione. Un giorno viene contattato dalla padrona della fattoria "più importante della città" (Leonor Silveira) perchè venga ad immortalare per un ultima volta il volto della figlia Angelica (Pilar Lopez de Ayala) morta poco dopo essersi sposata, con ancora il sorriso sulle labbra e la bellezza sempre intatta. Isaac viene introdotto in questo luogo listato a lutto, riprende il volto angelico della ragazza da diverse angolazioni, tante quante gliene vengono gentilmente imposte, e ne esce letteralmente frastornato, sconvolto dal mistero irrisolto che scaturisce direttamente dalla bellezza candida di Angelica, di cui si innamora perdutamente, fino a perdere il senso della reltà.
A centodue anni suonati, Manoel de Oliveira se ne esce con quest'opera di rara purezza espressiva e di notevole rigore stilistico, una riflessione compiuta in punta di fioretto sul senso della vita e della morte in un tempo dominato dalla perdurante precarietà dei sentimenti, sull'intersambiabilità delle rispettive essenze filosofiche, quando la vita ondeggia sul definitivo tramonto delle illusioni e la morte apre spiragli inaspettati per la scoperta di possibili gioie avvenire. Isaac è intento a fotografare il volto di Angelica quando questa si concede all'obbiettivo della macchina fotografica con due occhi capaci di squarciare la notte e un sorriso pronto a dichiarare guerra agli ultimi vagiti di un corpo tristemente immobile. E' la morte quella, che ha voluto donare al giovane fotografo, ignaro di quelli che possono essere gli insondabili misteri dell'universo, un'estratto di eterna beatitudine ? Oppure si è trattato dell'estemporanea vitalità di una bellezza mai sopita ? Domande integre e fondamentali, frutto di un occhio catturato dalla dimostrabile vastità dell'infinito, che penetrando nel profondo la materia visibile ne ha sprigionato tutte le possibili implicazioni trascendenti. Domande che logorano Isaac fino a fargli confondere il confine tra la realtà e il sogno, che lo inducono a sospettare di essere entrato in quello "spazio assoluto di cui ho tanto sentito parlare e che si dissolve come il fumo di una sigaretta, quello che pone la vita e la morte in un rapporto di intima interdipendenza, dove il convenzionale significato attribuito ad entrambi cede il passo all'astrazione delle rispettive entità concettuali, dove avviene l'incontro fondativo tra la materia e l'antimateria che, come spiegano in una garbata discussione il dottor Matias (Josè Manuel Mendes) e l'ingegnere (Luis Miguel Cintra), "si fondono in un abbraccio che si trasforma nella sua essenza più pura : l'energia". "Energia, spirito, Angelica", ripete Isaac come ipnotizzato, che solo abbandonandosi a quel viaggio che conduce all'idea assoluta di amore eterno può scongiurare l'irreversibilità improduttiva del suo stato depressivo. "lo strano caso di Angelica" è un progetto "vecchio" più di cinquant'anni, attuale come solo i valori assoluti di cui tratta sanno essere e giovane per per come sa proiettare verso l'esterno un idea fresca di cinema, lontano dai conformismi ricattatori e dalle moine modaiole, col sapore antico di una "classicità" di pensiero perennemente contingente e la raffinata eleganza di chi osa filosofare sulla storia. Il grande cinema di un ultracentenario pregno di grazia.
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