Regia di Stephen Frears vedi scheda film
Un film tratto da un fumetto ispirato a un romanzo già adattato sia al cinema sia in Tv: Tamara Drewe è tutto questo e dimostra come le storie migliori sappiano rimanere attuali. Nel 1874 Thomas Hardy pubblica Via dalla pazza folla, su una giovane ereditiera e i suoi tre corteggiatori nella campagna inglese, che diventa un film già nel 1915. La trasposizione più celebre è però del 1967, con Julie Christie, Terence Stamp e Alan Bates, cui segue un adattamento Tv del 1998 con il fratello minore di Colin Firth, Jonathan. Tra il 2005 e il 2006 Posey Simmonds, fumettista che con Gemma Bovery si era già fatta una certa fama per strisce ispirate a classici della letteratura trasportati ai giorni nostri, ne trae per le pagine del “The Guardian” Tamara Drewe (edito in Italia da Nottetempo, ne parleremo sul prossimo Nuvole in Viaggio). Frears se ne innamora, ma vuole un cast che non tradisca il fumetto, non tanto nella somiglianza con il disegno quanto nello spirito, o non se ne farà niente. Individuati Gemma Arterton prorompente protagonista, Roger Allam scrittore di successo, Luke Evans rustico ma onesto zotico e Tamsin Greig proprietaria di una residenza per letterati, i dubbi sono scemati. Ne viene un film - fuori concorso al Festival di Cannes 2010 - d’ambientazione rurale, dove il sergente spadaccino Troy di Hardy è diventato la rock star della batteria Ben Sergeant, mentre la giovane e tragica Fanny Robin dello scrittore inglese è qui Jodie, una groupie con amica al seguito. Le due ragazzine sono sia interpreti attive che scombinano le carte in tavola, sia una sorta di coro greco la cui visione della campagna è tutt’altro che bucolica. Il tono sottilmente comico, il ritmo in crescendo, le stranezze dell’ambiente letterario, l’avanzare della modernità e alcuni colpi di scena grotteschi, dal retrogusto acido tipico di Frears, ne fanno una commedia godibile per ogni pubblico, vicina alla satira del televisivo Cold Comfort Farm di John Schlesinger, autore già del film da Hardy del ’67. Tutto si tiene.
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